LUNA E GNAC: TRA STORIE, DISEGNI E BICICLETTE, DA QUINDICI ANNI TRA I PROTAGONISTI DELLA NUOVA DRAMMATURGIA PER I RAGAZZI

Luna e GNAC Teatro è una Compagnia teatrale di Bergamo, fondata nel 2008 da Michele Eynard (attore, regista e fumettista) e Federica Molteni (attrice, formatrice teatrale ed appassionata lettrice, esperta di letteratura per l’infanzia).

Il loro linguaggio è fisico e visuale insieme, mischia il teatro con il fumetto, la parola con il segno grafico, l’impegno civile con la poesia.

Incontro Federica Molteni, co-fondatrice della Compagnia, tra le tante prove, matinée e nuovi progetti, segno che la ripresa del nostro settore ci sta lentamente portando ad un tempo pre-Covid.

Chi è Luna e Gnac, da dove nasce e qual è la vostra poetica?

La nostra è una Compagnia di Teatro che prende spunto da un racconto di Italo Calvino, che fa parte della raccolta Marcovaldo: un uomo che vuole far vedere di notte il cielo ai bambini, allora salgono all’ultimo piano del loro palazzo in una grande città, e vedono la luna e stelle. Il problema è che ogni 20 secondi il cielo viene oscurato da un grande cartello pubblicitario luminoso con la scritta “spaak-cognac” di cui loro vedono solo la scritta GNAC, che si alterna ogni venti secondi alla poesia estatica che solo la notte può dare all’uomo.

Noi siamo così, alla ricerca di una poesia che però affonda i piedi nella concretezza della vita quotidiana.

Ci piace questa commistione, ci piace questo impegno civile, nel quale però la poesia e la bellezza devono essere sempre il nostro obiettivo, anche se li si vede venti secondi per volta.

Io all’interno della Compagnia sono un’attrice, ma siccome è una Compagnia molto piccolo artigianale, sia io che Michele siamo anche le anime pensanti e pulsanti di questo progetto, e spesso i ruoli si mischiano.

Michele è quello più portato anche alla rappresentazione grafica, parte importante della nostra drammaturgia, io invece porto più la mia passione per le storie e per i libri, che sono parte del mio mondo e della mia formazione. Ho studiato Lettere, ho insegnato anche alle scuole elementari. Le storie sono sempre state parte della mia vita, e quando mi sono trovata a scegliere se fare davvero l’attrice di professione, ho scelto di farlo, ma di portare con me tutto quel bagaglio di storie e di fantasia che i miei studi mi avevano regalato.

Cosa significa essere attrice ed essere anche madre? E che cosa significa fare teatro per le nuove generazioni?

Significa avere un grande sogno da portare sul palco, ovvero quello di regalare ai bambini, ma anche agli adulti che li accompagnano, qualcosa che normalmente nella nostra vita quotidiana non c’è più: uno spazio dove fare esperienza estetica e artistica. E questo è un po’ quello che noi vorremmo fare come Compagnia e che pensiamo debba fare il teatro. Penso che, soprattutto dopo il lockdown, sia diventato fondamentale il teatro come luogo, perché a differenza di ogni altra forma che abbiamo potuto sperimentare, anche digitalmente, il Teatro è il luogo della vicinanza. E da quando si può tornare ad essere vicini, il teatro ha dimostrato di essere una potenza deflagrante, perché la gente sente la necessità di questo incontro, di questa esperienza collettiva.

E quindi si, il Teatro è un sogno utopico, è la parola Utopia: questa isola bellissima in cui i desideri più grandi possono essere reali. Ecco diciamo che il palcoscenico è proprio come quell’isola, dove noi artisti vogliamo seminare sogni di bellezza.

Voi avete a cuore da sempre l’ecologia e tra i tanti progetti, dopo il lockdown, in una della città più colpite dalla Pandemia, avete proposto spettacoli itineranti di comunità con la bicicletta: parlaci di “Bergamo con altri occhi”?

Nel nostro percorso, negli ultimi anni abbiamo posto l’attenzione all’ecologia, in particolar modo attraverso la bicicletta, che per noi è veramente fonte di liberazione perché è un mezzo, non solo di trasporto, ma nei nostri spettacoli diventa anche un mezzo di consapevolezza.

Consapevolezza di cosa uno voglia fare nella propria vita; e la bicicletta con la sua semplicità, in questo è veramente rivoluzionaria.

È rivoluzionaria negli spettacoli in cui è co-protagonista sul palco (n.d.r. come “Bartali”, “Alfonsina Strada”, “Fiatone”, “Ruote Rosa”), ma è stata rivoluzionaria anche nel nostro progetto di teatro di comunità “Bergamo con Altri Occhi”. Un viaggio in bicicletta per scoprire la città e i suoi artisti del ‘900 in notturna. Un’esperienza immersiva, ascoltando i silenzi della notte e i racconti di uomini e donne che scelsero l’arte come vocazione e mestiere. Usando le parole di Italo Calvino, ci piace ricordare che “la città non dice il suo passato. Lo contiene come le linee di una mano. Scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre…”.

È questa l’idea dalla quale nasce questo progetto: storie e bellezza da condividere pedalando, per curare le cicatrici e guardare la città con uno sguardo nuovo. E Bergamo era una città piena di cicatrici, che aveva proprio bisogno di essere guardata con altri occhi.

Ed è stata in questa esperienza che abbiamo davvero ritrovato il nostro ruolo, che avevamo un po’ perso durante il lockdown. Noi artisti a cosa serviamo quando la morte arriva prima di tutto… Io me lo sono chiesta per molto tempo, durante i mesi più duri per la nostra città e per tutto il Paese. La risposta è nel dare un conforto attraverso le storie, la bellezza e la vicinanza.

Progetti futuri?

Si ne abbiamo, sempre legati ai libri, in particolar modo c’è un debutto, che è legato ad un mio progetto personale che si intitola “Crape de Legn”, la storia di due burattinai bergamaschi che hanno ascoltato la loro voce, la loro vocazione. Noi l’abbiamo declinata in senso artistico, con una ricerca che va nella direzione di un monologo che usa il teatro d’attore e di figura, ma che soprattutto usa il teatro in lingua. Io l’ho già sperimentano diverse volte, mi piace molto giocare con i suoni e con i dialetti. In “Bartali” parlo in toscano, in “Alfonsina Strada” parlo in emiliano, e questa volta invece ho affondato le mie radici nella mia lingua, che è il bergamasco, una lingua bellissima. Questa estate debutterò con questo nuovo progetto.

Mentre Michele invece ha in cantiere un racconto-monologo bellissimo poetico e rarefatto come il cielo, che parla proprio di luna e di Italo Calvino: “La distanza delle luna”.

E diciamo che in questo senso torniamo all’inizio di questa nostra intervista: ovvero noi che guardiamo il cielo con la sua luna e le sue stelle per godere dell’immensa Bellezza che questo mondo e la nostra fantasia possono regalarci, ed è nostro compito prendercene cura.

intervista a cura di Francesca Fabbrini – Compagnia Filodirame