MARIO BARZAGHI – IL TEATRO HA BISOGNO DI ME? – Dal teatro politico al teatro danza Katakaly, dal teatro di gruppo al teatro dell’albero.

PARLIAMO SUBITO DI COME HAI INIZIATO IL TUO LUNGO CAMMINO NEL TEATRO

I miei primi passi li ho mossi nei primi anni settanta, con un gruppo di base, come si chiamavano al tempo, composto di amici che con il teatro volevano fare politica. Io ero operaio metalmeccanico e facevamo un vero e proprio teatro di quartiere, nel senso che le scene e gli spettacoli che creavamo riguardavano direttamente i problemi del quartiere. Ad esempio nel nostro quartiere c’era un problema con il collettore delle fogne e noi creavamo una scena sul problema dello sversamento dei liquami a cielo aperto, oppure sulla completa assenza nel quartiere di servizi. Il gruppo era variegato, composto da 11 persone, oltre me che ero metalmeccanico cerano due grafici, una puericultrice, uno studente, due maestre, una insegnante. Il nostro era un teatro politico, talmente politico che il nostro primo spettacolo lo creammo su un capitolo del Capitale di Karl Marx : LA MERCANZIA , che diede il nome al nostro primo lavoro. Era stato scritto da un drammaturgo italo belga, Andrea Benedetton, che attraverso questo spettacolo che semplificava e chiariva in chiave popolare gli aspetti negativi del capitalismo che riduceva le persone a merci. Ricordo la prima di questo spettacolo che facemmo nel nostro paese, Insago in provincia di Milano, dove le persone erano assiepate ovunque e la partecipazione fu totale, scene che poi ho ritrovato solo in India. Stiamo parlando del 1974. Teatro politico che divise in due il paese per come era già diviso in Democristiani e Comunisti.

Il teatro così, mi ha sempre accompagnato, come per attrazione magnetica, il gruppo di teatro, che chiamammo TEATRO 7, dal civico dello spazio deve provavamo, lavorò intensamente dal 1974 al 1981, e cambiò radicalmente la mia vita, partita dalla fabbrica, in uno spazio/tempo molto ben definito e approdato al teatro con una concezione spazio temporale radicalmente differente. Le persone quando sono in fabbrica sono obbligate a stare in quello spazio circoscritto, dai 18 anni ai 60 anni il percorso è prestabilito, il teatro ha avuto su di me l’effetto di un grimaldello che ha aperto la mia vita a nuove prospettive. Noi come gruppo di teatro lavoravamo su ritmi molto professionali, provavamo e ci allenavamo tutti i giorni dalle 20.30 alle 23.30 il sabato pomeriggio e la domenica mattina, ben distanti dalle tempistiche delle compagnie amatoriali dell’epoca che avevano incontri al massimo di una volta a settimana.

Il teatro per noi è stato una rinascita. È stato usato da alcuni di noi anche come terapia contro la timidezza, il mio amico Carlo entrò a far parte del nostro gruppo per via della sua fortissima timidezza, dopo 4 anni di lavoro ci chiamò e ci disse che lui si sentiva ormai “guarito” e quindi non aveva più bisogno di noi e se ne andò. Erano anni strani.

UNO DEGLI INCONTRI IMPORTANTI DEL TUO PERCORSO È STATO QUELLO CON IL TEATRO TASCABILE DI BERGAMO, COME E QUANDO AVVIENE

In quegli anni il Centro di Ricerca Teatrale di Milano diretto dal Teatro di Ventura di Ferruccio Merisi, aveva una grande attenzione per i gruppi di base dei vari territori, organizzarono una prima rassegna con incontri e seminari dei gruppi lombardi, e noi avemmo la possibilità di ospitare nel nostro paesino e nella nostra piccola sede, fredda d’inverno e caldissima d’estate, Renzo Vescovi, regista e direttore del Teatro Tascabile di Bergamo, e Eugenio Barba regista e direttore dell’ODIN TEATRET. Era il 1977 e il Tascabile aveva organizzato a Bergamo il secondo incontro dei gruppi del Terzo Teatro, il primo si era tenuto a Belgrado. Loro vennero a vedere il nostro Allenamento, che attraverso il respiro ci abituava a resistere allo sforzo. A quell’incontro partecipava anche Ferdinando Taviani, importantissimo studioso del teatro recentemente scomparso, che rimase particolarmente colpito dalla qualità del nostro lavoro. Dopo quell’incontro i rapporti con il Teatro Tascabile si intensificarono molto, noi partecipavamo alle loro rassegne nei quartieri e nelle città con il nostro spettacolo di Clown, che facevamo io ed Alberto ( ndr spettacolo straordinario che ho avuto la fortuna di vedere ), spettacolo che portammo come in dote quando decidemmo di entrare, confluire nel Tascabile. Questo spettacolo per ragazzi fu fortunatissimo ed anche innovativo per quei tempi, metteva insieme tecnica e semplicità, noi non lo avevamo realizzato come spettacolo solo per ragazzi ed infatti funzionava ovunque e fu una risorsa per noi e per il Teatro Tascabile.

La mia permanenza nel Teatro Tascabile è durata 14 anni effettivi più 3 di collaborazione, dove io incontro il Teatro Indiano e Orientale. Renzo Vescovi, il direttore del Tascabile, conobbe proprio in quell’incontro del ’77 i danzatori orientali e indiani e se ne innamorò profondamente tanto da voler seguire quel percorso di allenamento e rappresentazione, che permetteva ai danzatori orientali di raggiungere livelli tecnici inimmaginabili per noi. C’è da dire che nel Teatro orientale non c’è frattura tra danza e teatro come da noi, sono considerate la stessa espressione artistica. Per Vescovi dovevamo andare in India per apprendere un codice che avrebbe formato il nostro corpo. Da allora penso al teatro non come arte generica ma come arte precisa. Si ha la convinzione che il teatro sia, come lo definiscono i francesi, una sorta di terra di nessuno, che per questo consente un po’ a tutti di potersi improvvisare e sentire teatranti, mentre a nessuno verrebbe in mente di diventare e sentirsi dall’oggi al domani danzatore classico, ad esempio. Questa per me è la differenza tra un’arte generica ed un’arte precisa come potrebbe essere definita la danza, la musica ad esempio.

Molti per questo motivo quando si avvicinano al teatro non si pongono la domanda: il Teatro ha bisogno di me? La prima cosa che pensano due persone che decidono di fare teatro è quale spettacolo devono realizzare, perché si è convinti che il teatro sia fatto da persone che dialogano tra loro, uno domanda e l’altro risponde…ma non è così.

COME È STATO IL TUO INCONTRO CON IL KATHAKALY

Con la mia entrata nell’81 nel Tascabile inizia il mio percorso di avvicinamento al teatro danza indiano dove si ha la concezione che il corpo deve essere messo in forma prima di poter praticare l’arte alla quale è destinata. Il corpo, secondo la loro concezione, deve prepararsi a ricevere la divinità che sarà rappresentata nella performance. Si tratta di un vero e proprio Teatro Epico e trattandosi di questo bisogna prepararsi ed effettuare un allenamento epico. Si tratta di un allenamento che intanto deve preparare il corpo a ricevere il costume, e stiamo parlando di un costume dal peso di circa 15/20 Kg, con una grande corona in testa e una serie di nodi che stringono il corpo, sei dentro una Attuazione che richiede una concentrazione feroce.

Quella pratica ti abitua a stare dentro una concezione che tende a spingere il tuo corpo verso il suo limite massimo. Quindi l’allenamento deve prepararti a spingerti oltre quei limiti per poter essere pronto ad accogliere il costume e una volta indossato esprimere al massimo quei parametri per i quali ti eri preparato.

È, per intenderci, una sorta di allenamento di Mennea al rovescio, lui si allenava trainando una carretta piena di sassi per poi poter sprigionare in gara tutta la sua leggerezza, qui nel Kathakaly ti alleni esattamente al contrario, senza carico in allenamento per raggiungere il massimo del tuo disarticola mento, quando arriva il costume, con il suo peso, tutto si ricompatta. Un lavoro pazzesco.

Nelle nostre accademie, anche quelle più accreditate, il teatro diventa una materia scolastica dove alcune fanno selezione, altre prendono chiunque. Il lavoro generalmente si basa su una concezione ottocentesca del teatro dove il lavoro principale viene dedicato alla dizione, scioglilingua ecc… Le accademie più aperte fanno fare un po’ di scherma e di mimo, qualche elemento di acrobatica. Per tutte dizione e lingua di scena. L’occidente rappresenta solo un terzo del teatro mondiale pur pensandosi al centro del mondo. Una visione molto distante dalla concezione epica del teatro orientale.

Il teatro non ha mai impedito a nessuno di entrare nel suo palazzo, ma noi abbiamo necessità di capire quali sono i bisogni dell’arte. Porsi la domanda : Teatro tu hai bisogno di me? È indispensabile per porsi nell’atteggiamento giusto nei confronti dell’arte e del teatro.

Nel teatro orientale bisogna intraprendere un percorso di almeno 10 anni dedicato alla formazione. Per me l’antropologia del teatro da una idea Atemporale del teatro, nel senso che è il teatro stesso che avviluppa la tua vita che come il bozzolo di una crisalide che ti permette nel frattempo di formare la farfalla che diventerai.

QUANDO ARRIVA IL TEATRO DELL’ALBERO, LA TUA NUOVA CASA ARTISTICA

La Casa dell’Albero arriva nel 2000 ma io esco dal Tascabile nel 1994, resto come collaboratore sino al 1997, ma inizio molto presto dopo la mia uscita dal gruppo a pormi il problema della sopravvivenza, soprattutto in relazione alla mia formazione di attore che ha vissuto e creduto nella necessità del Gruppo nel ritrovarsi da solo. In certi ambienti quando si usciva dal gruppo venivi vissuto un po’ come una specie di traditore, ed ho dovuto vivere in questo clima. Andarmene era stata una mia scelta ed infatti non portai un solo contatto, un solo indirizzo che non appartenesse a me.

Quando sono andato via non sapevo bene cosa sarebbe accaduto, sono passati alcuni mesi difficili, fortunatamente si aprì una finestra, come sempre accade, andai a fare un provino in Svizzera e fui preso, dovevo recitare in un’altra lingua, mi tuffai a capofitto in questo nuovo lavoro in questa sfida, uscivo dalla placenta del gruppo e affrontavo da solo la vita d’attore, con tante domande e tante paure.

Il consiglio che mi posso permettere di dare ai ragazzi che si rivolgono ai provini è questa: lasciate sempre che sia la parte più nobile di voi stessi, come attori, a decidere, anche a discapito delle economie, senza costringervi ad accettare ruoli o condizioni che vi feriscono.

Il lavoro prendeva sempre più una sua forza e la necessità di avere una struttura amministrativa che lo sostenesse ha spinto verso la creazione del Teatro dell’Albero. Ci siamo ispirati all’albero per la sua dualità, il visibile con le sue fronde il tronco, ed il suo invisibile con le radici, così è il mio lavoro con il visibile dei miei risultati ed il grande lavoro nascosto dell’allenamento della sala della preparazione. Quello che non si vede è presente.

OGGI SU COSA SEI CONCENTRATO

Noi non rientriamo in nessun ristoro o algoritmo del Ministero, abbiamo vissuto con la nostra coerenza ed utilizziamo il lavoro come arma strategica per sopravvivere ed andare avanti. Il ministero premia chi fa spettacoli, ma un conto è fare teatro ed un altro è fare spettacoli.

 Ho chiesto a Maria Rita Simone, storica del teatro, che sta raccogliendo un materiale straordinario sul regista lirico GIANFRANCO DE BOSIO, di scrivere un testo per noi e lei ha, dopo ricerche varie, realizzato un lavoro dedicato al mito di Demetra e Persefone e con questo dovremmo debuttare a giugno.

Per fare il tuo spettacolo devi avere un tuo bisogno, lo definisco il tuo lavoro perché lo spettacolo è l’esito del tuo lavoro, spettacolo è troppo legato all’idea di mercato ed io mi ci voglio allontanare, noi non facciamo gli spettacoli per il mercato, ma perché siamo interessati all’indagine alla ricerca alla profondità delle cose.

Da qui torna sempre la domanda che mi pongo: Il Teatro ha bisogno di me?

Intervista a cura di Maurizio Stammati