Attore e Operatore Teatrale.
Laureato in Storia del Teatro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Fondatore della Compagnia Teatrale Filarmonica Clown-Teatro sul Filo di Milano 1981 (Selavì – Arrivano i Clowns – Vargamés – Meandrys ) Si è formato al CRT MILANO lavorando con l’autore, attore e regista ceco BOLEK POLIVKA.
Attore con la propria compagnia in tutti gli spettacoli firmati da Polivka : Arrivi e/o Partenze non sono pazzo io! ’83 ’87- Chicago Snakes ’84 ’88 ’95 – Non pensavo che quest’isola fosse così bella ’85 – Lo Strano pomeriggio del Dottor Svonek Burke ’86 e ’90 –Don Chisciotte ’89 vero spettacolo culto della compagnia, giocato e presentato con successo per ben 25 anni consecutivi. Con questi spettacoli ha compiuto numerose tournée all’estero (Svizzera, Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Argentina).
Attore con Alessandra Faiella nella commedia di Franca Rame e Dario Fo COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA, produzione del Teatro della Cooperativa per la regia di Renato Sarti.
Attore in lavori con le compagnie Filipazzi, Eccentrici Dadarò, Qui e Ora Residenza Teatrale, Karakorum Teatro, Schedia Teatro
Animatore da quasi un decennio del ‘Laboratorio per il Teatro’ per l’ Associazione Amici della Speranza di Villasanta e nella Piccola Comunità per il Teatro di Vivere SanSiro e ATLHA Cascina Bellaria. Già organizzatore del Centro Fontanateatro e per più di un decennio del Festival Internazionale Clown di Milano Dal 2016/2020 è stato Direttore della Spazio Banterle in Largo Corsia dei Servi a Milano per il Teatro Incamminati.
Questa intervista l’ho fatta a Valerio dopo aver visto il suo l’ultimo spettacolo, rappresentato con “Gli amici della Speranza“ dal titolo “La Favola di Nonno Felice”.
La Speranza si occupa di disabili adulti, sia fisici che mentali, contribuendo, senza finalità di lucro, a favorire la promozione e l’inserimento nell’attività lavorativa, propria o di terzi, di persone diversamente abili e non, al fine di offrire risposte sempre più adeguate e flessibili, in risposta ai bisogni incontrati e con l’intento di valorizzare sempre più le capacità dei singoli .
Tu sei un attore che opera nel settore ragazzi da tanti anni. In questo tempo cosa hai fatto? Come ti sei formato, chi sei ?
La mia storia inizia negli anni 70, con il movimento che aveva scoperto le radici di un teatro popolare: clownerie, teatro di strada, mimo, pantomima, terzo teatro, c’era Grotoswki e tutte queste esperienze. La mia compagnia si chiamava “Filarmonica Clown”, abbiamo lavorato per circa 40 anni insieme, aprendoci anche ad altri colleghi con i quali abbiamo condiviso percorsi importanti: Lenardon, Rossi , Marino Zerbin, Renata Coluccini, Marta Marangoni, Virginia Zini e altri amici e amiche.
Lo spettacolo che hai visto stasera (La Favola di Nonno Felice – Le favole sono bugie o storie vere, Omaggio a Ferruccio Filipazzi ) credo sia particolare e interessante soprattutto per la genesi che ha avuto.
Sono più di 10 anni che collaboro con gli educatori dell’associazione “Gli amici della speranza” di Villasanta. Costruiamo insieme quelle che definisco azioni sceniche, non li chiamo spettacoli.
Non chiamo neanche laboratorio teatrale quello che realizziamo con questi amici che sono disabili adulti, maschi e femmine, con cui condividiamo il gioco e la relazione, cosa che considero importante, preziosa ed evidente.
Fondamentale per me è stata l’esperienza di volontario con l’Aias di Monza (un’associazione rivolta a persone con disabilità). L’incontro con un amico/compagno di Università, portatore di handicap, mi ha consentito di passare diversi anni come volontario nell’associazione, andavamo in vacanza con un bel gruppo di persone a Pinarella di Cervia e poi il tutto è continuato con alcuni di loro anche al di fuori dell’Aias.
Nei primi anni del mio matrimonio, si andava ancora in piscina, eravamo un bel gruppo, poi, piano piano, questa esperienza si è esaurita e per motivi diversi: l’anzianità dei genitori, l’impossibilità di conciliare il lavoro con la vita in famiglia, impegni crescenti, la nascita di bimbi, ecc. ecc.
Quando recentemente l’Associazione La Speranza mi ha chiamato per lavorare con ragazzi disabili, è stato come riprendere un rapporto a cui tenevo molto, perché fondante nella formazione della mia persona. Il potermi incontrare con soggetti portatrici e portatori di handicap è stato importante e mi ha consentito di poter giocare con questi amici, attingendo alla quarantennale esperienza di teatro.
Mi ricordo che all’inizio erano gli animatori della cooperativa che facevano un pò tutto, guidati da Marco, quello più esperto, anche se non era un teatrante. Purtroppo poi è venuto a mancare e ricordo di averli consigliati di rivolgersi a un regista
Si, ricordo anche io, mi hanno contattato dopo esserci incontrati in occasione di vari spettacoli, da lì abbiamo iniziato con il primo lavoro: ‘Il Circo delle Meraviglie’ e da allora ogni anno mettevamo in scena tutto quello nasceva da riflessioni sugli accadimenti e ovviamente prendendo spunto da libri come “L’Assemblea degli Animali”, “L’uomo che Piantava gli Alberi”, “I Promessi Sposi”.
Il gioco teatrale che faccio con loro, è aperto, completamente aperto: emerge la relazione che ho con loro, filtrata attraverso il gioco, perché il teatro è gioco, scambio e baratto.
In effetti assistendo allo spettacolo si nota che si divertono molto.
Si divertono loro, ci divertiamo noi, si divertono tutti e di conseguenza il pubblico che percepisce la relazione che esiste nel gruppo.
Rispetto al teatro per ragazzi classico e ufficiale, i rapporti però sono diversi?
Certamente, è diverso perché ci sono altri interlocutori, anche se siamo riusciti a presentare i nostri lavori a ragazzi delle scuole medie e devo dire che le loro reazioni mi hanno sorpreso, l’elemento del gioco è talmente forte che ha abbracciato ogni cosa e li ha coinvolti.
Di fatto ogni volta l’interlocutore è diverso come diversi siamo noi che dobbiamo
interloquire, proponendo uno scambio, un baratto, questa volta con modalità diverse da quelle che si vivono in Teatro, questo racconta la mia esperienza. Anche con la Filarmonica Clown il lavoro che facevamo poteva essere vissuto tanto dai bambini dell’infanzia come dagli adulti. La cosa straordinaria è la forza del teatro, del gioco come mezzo educativo e pedagogico.
Nel linguaggio teatrale rispecchiarsi nell’altro vuol dire anche scoprire il proprio limite e il proprio ‘valore’.
I ragazzi questo lo percepiscono e di conseguenza partecipano al gioco teatrale?
Secondo me si.
Il gruppo dei ragazzi che partecipa allo spettacolo, lo fa da molti anni?
La maggior parte delle persone partecipa a questa esperienza da diversi anni, anche se si aggiungono ogni tanto nuove presenze, tendenzialmente comunque c’è una stabilità che prevale, questo è importante tenendo anche conto che il teatro è una parte delle attività che l’Associazione Amici della Speranza svolge durante l’anno, proponendo ai ragazzi tante altre esperienze, cosa che considero molto importante.
Il dato da sottolineare è che i ragazzi riescono a rappresentare il loro teatro alla gente, a farsi vedere, e anche da parte mia, dove è possibile, ho sempre cercato di inserire un loro intervento nelle varie programmazioni.
Infatti, di questo ti ringrazio sempre. Credo si molto importante .
Cosa vuoi aggiungere per i nostri amici del teatro ragazzi, siano essi attori o registi, su questa esperienza?
Direi che la forza del gioco teatrale, negli attori e attrici, è il ‘valore’ della propria fragilità, conoscere la propria debolezza e la propria fragilità riuscendo ad esprimerla nel gioco teatrale.
Personalmente credo che un bravo attore, oltre alla tecnica (che ovviamente è importante), deve essere un po’ come il mio gatto, quando senza paura, sdraiato, si fa accarezzare sulla pancia, la parte più vulnerabile del suo corpo, senza timore di essere colpito.
La propria bravura, la Verità che mettiamo in scena nella finzione del gioco teatrale è anche lo specchio di quella fragilità, fare della propria qualità un elemento singolare, un ponte che ci permette di unire e di abbracciare. Tutto questo con i miei amici e amiche della “Speranza” diventa palpabile e si mostra.
intervista a cura di Roberto Sala