PAOLO CAPODACQUA – NON CONSIDERO LA MUSICA PER BAMBINI UN “BALOCCO” CONSOLATORIO, BISOGNA SCRIVERE CANZONI RISPETTOSE DELLA LORO INTELLIGENZA

Ad un anno dall’uscita del tuo ultimo album “ferite&feritoie”, al netto di tutte le difficoltà causate dalla pandemia, hai provato a fare un primo, parziale, bilancio?

Un bilancio vero e proprio non l’ho ancora fatto, anche perché la pandemia e tutti i problemi ad essa connessi hanno causato una sospensione della promozione, dei concerti e delle presentazioni dell’album. Un iter “interruptus” che inevitabilmente ha generato anche una sospensione di un qualsiasi possibile bilancio. Posso però registrare un’accoglienza veramente molto positiva da parte della Critica, che si è espressa (nelle decine e decine di articoli e recensioni) con giudizi lusinghieri sul mio lavoro. Altrettanto posso dire dell’accoglienza del pubblico, una cosa che ho rilevato anche grazie ai tantissimi messaggi personali ricevuti da ascoltatori e appassionati.

Nel disco si incrociano le storie di viaggi, di emigrazioni, di amori e di bellezza, di dolcezza e di illusione con una forte propensione verso storie che riguardano dei bambini (la principessa dai lunghi capelli o il giovane aviatore). Come si delinea il tuo rapporto artistico con i temi che riguardano l’infanzia?

L’aver composto canzoni per bambini negli ultimi trent’anni evidentemente mi ha condizionato molto. Mi sono reso conto che anche quando scrivo per “non-bambini”, o “per adulti” che dir si voglia, mi ritrovo sempre in una sorta di zona di confine tra i generi, in quella terra di mezzo tra la produzione per bambini e quella per il cosiddetto pubblico adulto. E’ una dimensione stimolante perché ti permette di allargare gli orizzonti creativi e magari trattare tematiche “alte” simulando anche prospettive diverse, guardando tutto attraverso l’occhio critico di un bambino, per esempio. Si può raccontare il mondo osservando i bambini, raccontando le loro storie, cercando di adottare il loro punto di vista. E poi in molti casi l’infanzia narrata è la metafora di una dimensione smarrita dagli uomini. Saint-Exupery, ad esempio, ha scritto un’opera che scava nella sensibilità degli adulti raccontando la storia di un bambino, e forse proprio per questo la sua opera è caduta vittima di un equivoco storico che ha consegnato il suo Petit Prince alla (falsa?) categoria della letteratura per l’infanzia.

Hai sempre dedicato un forte impegno artistico per la produzione di opere e canzoni d’autore che si rivolgono ai bambini, diventando uno degli artisti più conosciuti e apprezzati nel settore della produzione musicale dedicata all’infanzia. Come mai in Italia abbiamo avuto importanti autori che si sono dedicati alle canzoni per bambini, ma non è mai nata una vera tradizione cantautorale per l’infanzia?

Nel “sentire” comune la musica per bambini viene intesa come un “balocco” consolatorio. La natura stessa della musica, arte immateriale in grado di coinvolgere diverse dimensioni percettive, induce a pensare che per “appagare” i bisogni estetici ed emozionali di un bambino basti proporre modelli melodici e/o ritmici riecheggianti le cantilene, le conte infantili, i non-sense… oppure, peggio, si ritiene che sia sufficiente condire melodie semplici con testi banali e bamboleggianti. Io ho provato ad immaginare, ormai diversi anni fa, una sorta di Canzone “d’autore” per bambini. Penso però che la mia esperienza sia rimasta isolata e comunque senza riscontro (con pochissime eccezioni) da parte degli editori, i quali pure pubblicano CD allegati ad opere letterarie per l’infanzia, con la volontà evidentemente di mantenere un profilo basso. C’è poi il mercato della musica (perché purtroppo, comunque la si voglia mettere, parliamo di terreni dominati dal mercato, è il mercato che tiene il timone) che risponde a logiche diverse rispetto al teatro o alla letteratura. Non mi dilungo, poi, sulla conciliabilità tra bisogni indotti dal mercato, gusti del pubblico, distribuzione ecc. Scrivere per i bambini è molto impegnativo, o perlomeno è molto impegnativo cercare di scrivere dei testi rispettosi della loro intelligenza, magari con musiche non necessariamente stucchevoli. Un po’ come quello che fece Rodari nella poesia e nella narrativa, che in un colpo solo andò oltre il Libro Cuore e la Vispa Teresa. Alcuni cantautori storici che hanno cantato canzoni per bambini lo hanno fatto come deviazione momentanea dalla propria produzione, penso, ad esempio, a Bruno Lauzi. Altri lo hanno fatto prendendo spesso in prestito i testi dei poeti ed evitando di proporsi direttamente come autori per l’infanzia. Il grande Sergio Endrigo per rivolgersi al pubblico dei bambini mise in musica Rodari e Vinicius… lo fece con grande sensibilità e raffinatezza ottenendo mirabili risultati ovviamente. Osò anche sondare quelle terre di mezzo delle quali parlavo prima con un brano stupendo come “Lorlando”, una canzone probabilmente ascrivibile ad una intenzionalità stilistica un po’ “border-line”. Purtroppo tutto ciò non è stato sufficiente per dare vita ad una tradizione cantautorale per l’infanzia.

Negli anni hai spesso collaborato con compagnie teatrali, sia come autore di canzoni e musiche di scena, sia dal vivo anche come cantante e musicista per la realizzazione di spettacoli di teatro per ragazzi (ricordo le collaborazioni con il Lanciavicchio, il Florian, il Tetro della Gran Guardia, Fantacadabra, ecc) . Come si coniuga, secondo te il rapporto fra la musica, la canzone d’autore e la scena teatrale? Come si è sviluppata questa specifica esperienza? Con quali caratteristiche e stilemi?

La mia esperienza in questo senso è iniziata perché registi di teatro ragazzi (come Mario Fracassi per esempio…) mi hanno coinvolto nei loro progetti. In queste occasioni mi sono sempre rimesso alle indicazioni registiche laddove mi si chiedeva di scrivere una canzone che potesse creare un momento drammaturgico in grado di generare un ponte emotivo tra una scena e l’altra… Un’esperienza molto stimolante che mi ha permesso di comporre brani che ancora oggi fanno parte del mio repertorio e che magari sono finiti anche nell’ultimo lavoro “ferite&feritoie”. Penso a “I nidi degli uccelli”, scritto per “La chiesa di neve” del Florian, o “Canto dell’aviatore” e “Rosafiore”, composti per uno spettacolo di Carlo Formigoni… Penso che comporre una canzone per uno spettacolo teatrale sia cosa diversa dallo scrivere una colonna sonora o delle musiche di scena che hanno il compito di sottolineare e rafforzare emotivamente la narrazione. In uno spettacolo teatrale una canzone composta ad hoc rappresenta una vera e propria entrata in scena di un nuovo elemento drammaturgico “paritario”, una sorta di parallelismo narrativo, uno spazio semantico che assorbe la luce dei riflettori e la restituisce poeticamente allo spettatore.

Progetti per il futuro ?

Innanzitutto riprendere, appena possibile, il tour di presentazione dell’album “ferite&feritoie”, recuperando le date già fissate a novembre e poi saltate: Il Folkclub di Torino, la Svizzera italiana e la partecipazione al festival “La grande bellezza” di Zurigo dedicato alla canzone d’autore italiana. Riorganizzare un minimo di attività concertistica e magari mettere in cantiere la realizzazione di un nuovo album.

intervista a cura di Mario Fracassi