Il diario che segue ha una gestazione atipica, non mi è stato possibile trovare il tempo e lo spazio per poter scrivere durante le due settimane in Ucraina, il programma era così intenso e la situazione così forte da non lasciare spazio alla riflessione e alla scrittura. Le uniche cose che sono riuscito a comunicare sono state affidate a dei post quotidiani sulla mia pagina fb (Nerone Bianchi), nei quali cercavo di trasmettere sensazioni e immagini. Tornato a casa ho sentito che l’esperienza riverberava ancora molto forte e chiedeva spazio dove fissarsi. Ho così scritto altre cose: ricordi, volti, paure, cercando di integrare quel diario che non avevo fatto sul posto. Spero che questa scrittura insolita e a macchia di leopardo, unitamente alle immagini di Ruggero Ratti, possa restituire un viaggio importante come quello che ho avuto la fortuna di poter fare.
Stanotte partiamo per l’Ucraina, molti mi chiedono perché lo fai. Per lo stesso motivo per cui siamo andati nei villaggi sperduti in Etiopia, nelle baraccopoli di Manaus, nei campi Rom dell’Albania, negli slam di Nairobi, tra le foreste del Ghana, nelle favelas di San Paolo, nei campi profughi della Bosnia Erzegovina. Per disegnare un sorriso sui volti di chi sta subendo le peggiori ingiustizie di questo mondo, per sentirci esseri umani. TEATRI SENZA FRONTIERE é un sogno, una grande Utopia, quella di un mondo storto che pian piano si raddrizza, dove, nonostante tutto, sono molti quelli che si rimboccano le maniche per renderlo migliore. Con loro vogliamo stare, per abbracciare chi non ha nulla, per dare, per ricevere e per riscoprire il senso profondo del mestiere che facciamo, troppo speso disperso tra bandi, borderaux e infiniti rendiconti. (15.9.23)
Dopo 18 ore di viaggio siamo alla frontiera Ucraina, un piccolo passo per l’umanità, un grande passo per me. (16.9.23)
Siamo arrivati a Leopoli alle 23,30, mezz’ora prima del coprifuoco. Tutte le luci sono spente ma l’accoglienza è luminosa. Stanotte le sirene hanno suonato ma da quello che ci dicono, qui oramai non ci fanno più caso. (17.9.23)
Con le luci del giorno cominciamo a conoscere gli angeli custodi che ci terranno compagnia nelle due settimane programmate di attività. Ci ospita il Seminario dello Spirito Santo di Leopoli, un’imponente costruzione dove 150 giovani seminaristi studiano e apprendono le regole della vita che hanno scelto. Dirige il complesso Padre Ihor, con il quale abbiamo cominciato a dialogare già dal mese di Novembre per organizzare e pianificare il tutto. Padre Ihor è un uomo solare e dall’empatia immediata, alto, imponente, attento, capace, è lui a darci le coordinate del posto in cui siamo e a svelarci il programma che ha predisposto, un imponente piano che abbraccia l’intera Ucraina, fino alle zone dove la guerra è più cruenta. Lui, come gli altri preti, appartengono alla Chiesa Greco Cattolica, di cui ignoravo l’esistenza prima di questo viaggio. Sono riconosciuti e riconoscono l’autorità del Papa di Roma, la loro Chiesa è uguale a quella ortodossa, stessa architettura, stesso impianto interno, con un grande divisorio che taglia in due l’altare, dove risplende l’oro delle icone bizantine. La messa è tutta cantata e di grande suggestione. La particolarità e che questi preti hanno la possibilità di scegliere tra il celibato e il matrimonio. La stragrande maggioranza di loro è sposata, ha figli e famiglia e questo li rende più vicini, li restituisce ad una normalità che fa bene all’anima. Padre Ihor è sposato anche lui, ci presenta sua moglie e per noi che non siamo abituati la cosa stupisce.
Il primo contatto è con il refettorio per la colazione, la qualità del cibo è molto alta, dopo qualche ora si ha la sensazione di conoscere tutti. Oggi faremo il primo spettacolo per i parrocchiani del seminario, è domenica. Un piccolo popolo arriva, diversi con i vestiti tradizionali ricchi di ricami, allestiamo in uno spazio vicino alla Chiesa e i canti si spandono ovunque.
Abbiamo ripreso conoscenza dopo l’interminabile viaggio di ieri e fatto lo spettacolo con nostra grande soddisfazione e soprattutto della comunità che ci ospita, Padre Ihor non ci aveva mai visto e un po’ di comprensibile timore c’era. Al termine dello spettacolo si sono alzati tutti in piedi scandendo la parola grazie in ucraino, un abbraccio infinito, a quel punto abbiamo cantato BELLA CIAO, è stato un bel momento, uno di quelli che restano, tutti l’hanno cantata con noi, preti e non, pur non conoscendo le parole. Poi abbiamo saputo che è molto popolare in Ucraina e che i soldati al fronte la cantano. (17.9.23)
Padre Ihor e Maurizio Stammati
Oggi, lunedì 18 settembre, programma intenso: mattino spettacolo in una scuola elementare alla periferia di Leopoli, alla sera, ore 21, spettacolo a Briyhovychi (una trenita di Km da Leopoli) per tante famiglie che sono scappate dalle zone più vicine alla guerra. (18.9.23)
Ieri sera lunedì 18 abbiamo fatto lo spettacolo in un monastero dove sono accolte 70 persone scappate dai territori occupati, sono donne, bambini, anziani, invalidi a cui è stata strappata la casa e la vita. Al termine una madre mi ha abbracciato e stretto forte, così forte da far uscire le lacrime. Non penso che lo abbia fatto perché lo spettacolo le fosse piaciuto così tanto, piuttosto per ringraziarci di averli fatti sentire meno soli in questa guerra contro l’arroganza di chi si crede padrone del mondo. Non gli abbiamo mandato un pacco di aiuti ma siamo venuti di persona. Da parte mia l’ho stretta per dirle che la prepotenza non vincerà mai. Oggi altri 2 spettacoli, vogliamo abbracciare più gente possibile. (18.9.23)
Ieri notte, per la prima volta nelle nostre vite, abbiamo sentito il boato delle esplosioni, ci sono stati due morti e vari feriti, hanno attaccato Leopoli con i missili. Al mattino la vita è ripresa, con gli ingorghi, il traffico, le persone in strada, com’è normale in una città che conta un milione d abitanti. Anche noi abbiamo ripreso il nostro giro e fatto due spettacoli, uno in una scuola e l’altro in un centro Caritas che accoglie profughi scappati dal sud del Paese. Abbiamo conosciuto tante persone e capito che quello Ucraino è un popolo unito che mai tornerà sotto il tallone russo, hanno già conosciuto la dittatura sovietica e se la ricordano bene. Se Putin pensava che i suoi soldati fossero accolti da frotte di donne con i fiori in mano, ha sbagliato di molto. Oggi ripartiamo con altri spettacoli e altre persone da abbracciare. Slava Ucraine. (20.9.23)
Leopoli è una città molto bella, ha un centro che richiama Vienna, segno del passato dominio austro ungarico, qui le sirene non fanno più paura a nessuno, anche perché suonano in continuazione. Ci dicono che agli inizi dell’invasione, ogni volta che suonavano la gente scappava nei sotterranei, sia di giorno che di notte, poi hanno deciso di continuare a vivere e hanno capito che questa, oltre che una necessità, è anche la migliore risposta da dare agli invasori.
I locali di Leopoli sono pieni di giovani, come pure le strade e le piazze, c’è musica dappertutto e tanti che suonano a cappello in strada. La sera è uno spettacolo, non ho mai visto così tanta gioventù, sono fuori fino al coprifuoco che scatta alla mezzanotte, a dire che vogliono vivere la loro giovinezza, che la guerra è un’infamia che stanno subendo e sperano che finisca prima possibile. La città è piena di profughi scappati dalle zone del sud est, quelle del fronte, sono prevalentemente donne e bambini, famiglie distrutte e separate, gli uomini non possono andarsene dal Paese, i giovani vengono arruolati e centinaia di migliaia hanno già sacrificato la loro vita per la follia di un pazzo che non ha neppure il coraggio di chiamare con il nome di guerra quella che ha scatenato.
C’è un grande prato alla periferia di Leopoli che hanno trasformato in cimitero di guerra, per metà è già pieno, un’infinità di bandiere ucraine accanto ad altre rosso/nere (quelle dell’esercito) sventolano tristemente a ricordare chi non ce la fatta. Camminare dentro i viali di questo luogo è una sensazione forte, i volti dei caduti, tutti giovani, sono lì a chiedersi perché hanno dovuto pagare un prezzo così alto.
Tra i tanti attestati di vicinanza che abbiamo ricevuto, voglio riportare quello di Elisa Venturo, vice sindaco del Comune di Minturno (LT).
“Quando venerdì abbiamo salutato l’Ape Teatro (progetto del Teatro Bertolt Brecht di Formia), avevo solo in parte colto il loro bisogno di andare. La paura era troppa, poi sono arrivate le immagini del loro Teatri Senza Frontiere, con tutta la forza e la prepotenza che il condividere e regalare sorrisi può dare. Ed ho compreso che certe cose devono essere così, che quando hai uno strumento per fare del bene, non importa quanto grande sia il male e forti le bombe, il tuo messaggio troverà il modo di farsi ascoltare. Maurizio Stammati, Marco Renzi e tanti altri sono partiti per l’Ucraina, con il loro bagaglio di emozioni e l’arte del teatro in spalla, per diffondere gioia e far sentire la loro presenza a chi ha bisogno di non mollare e di non sentirsi solo. E se c’é una cosa che ho imparato da loro, é che il teatro unisce, come una lingua segreta, rimbalza tra i cuori e allieva ogni male. Non importa la guerra. Conta solo l’esserci. Allora grazie amici miei, per questa nuova lezione e avventura e buon viaggio.
Portate un sorriso anche per me!”
Elisa Venturo (20.9.23)
Giovedì 21 Settembre, quinto giorno in Ucraina, oggi faremo il sesto spettacolo a Leopoli. Poco fa hanno suonato le sirene che segnalano un attacco, non si sa dove avverrà ma i droni sono partiti da qualche parte della Russia, per fortuna molti verranno abbattuti dalla contraerea Ucraina. Grazie ai miei compagni di viaggio: Maurizio Stammati, Ruggero Ratti, Marco Pedrazzetti, Noemi Bassani, Stefano Tosi, grazie ai Padri della Chiesa Greco Cattolica di Leopoli che ci fanno da angeli custodi, grazie a Simona Ripari e Gabriele Claretti che verranno nella seconda settimana.
Oltre le sirene che annunciano il lancio di missili e che sono da un anno e mezzo la colonna sonora di questo popolo, esiste anche un app che segnala in tempo reale, colorandole di rosso, le zone a maggior rischio, Leopoli è spesso tra queste anche se quelle del sud sono perennemente colorate. (21.9.23)
Venerdì 22 settembre. Continuano i nostri spettacoli in Ucraina, ieri altri due e oggi ancora, vistiamo scuole e centri di accoglienza per i profughi, ovunque è una bella festa e un crogiolo di mani che si stringono e si cercano.
A pranzo, nel refettorio del Seminario, Padre Ihor ci ha chiesto di cantare Bella Ciao per i seminaristi. Ci siamo alzati e abbiamo cominciato. Lo spettacolo di 150 preti tutti vestiti di nero che cantano questa canzone, che oramai è diventata l’inno di chi combatte contro l’oppressione, è da brividi, uno spettacolo che non ci capiterà mai più di vedere e che ci avvolge completamente.
Padre Ihor ci racconta di quando, dissolta l’URSS, Janukovyc, il premier filo russo, non voleva mollare il potere e milioni di persone scesero in Piazza a Kiev, da Leopoli partirono due pullman pieni di preti, andarono anche loro nella capitale a dar man forte alla transizione. Scesero in piazza a cantare canzoni della tradizione ucraina, ci furono cariche della polizia, molti morti, ma le piazze non arretrarono e continuarono ad essere piene. Alla fine il presidente scappò in Russia, dove tutt’ora vive, e l’Ucraina fu libera e indipendente.
Abbiamo conosciuto tanta gente e tanta ancora ne conosceremo, c’è una volontà ferrea ovunque, nessuno vuole tornare sotto l’oppressione Russa, l’hanno conosciuta e gli è bastato, questo popolo non si piegherà mai. La denazificazione Putin la dovrebbe fare a casa sua, dove non esiste libertà di parola, di stampa, dove gli oppositori vengono eliminati, avvelenati, fatti esplodere in aria, dove c’è il partito unico e dove lui sta al potere già da oltre vent’anni. (22-9-23)
Sabato 23 settembre. Oggi facciamo l’ultimo spettacolo a Leopoli, in piazza del teatro, ore 16,00, è il decimo. Domani ci attende un lungo viaggio, mille km, fino al sud del Paese. Dobbiamo arrivare a Kherson prima delle 8 di sera perché poi scatta il coprifuoco. Toccheremo città che hanno subito più di altre l’orrore della guerra: Dnipro, Zaporizhia, Kharkiv. Sarà una settimana impegnativa, molto impegnativa.
Ci accompagna in questo viaggi Maksym Ryabukha, un giovane Vescovo del Donetsk, ha 42 anni, spirito e forza da vendere. Non hanno detto armatevi e partite ma sono con noi. (23.9.23)
Domenica 24 settembre. Abbiamo lasciato Leopoli all’alba verso il sud del Paese. Ieri spettacolo in piazza del teatro. Salutiamo questa splendida città dell’Ucraina, piena di giovani che affollano le piazze, di musicisti che suonano ovunque, di locali dove si beve birra e si canta, dalle tante Chiese e monumenti tutti ingabbiati, a protezione di un patrimonio straordinario che non deve scomparire. La migliore risposta a Putin che vorrebbe un popolo impaurito e pronto a farsi sottomettere. Grazie a Padre Ihor, a Padre Andrey e a Padre Ivan, senza di loro tutto questo sarebbe stato impossibile, grazie per averci ospitato, dato la possibilità di incontrare tanta gente e fatto conoscere una città davvero splendida. (24.9.23)
Lunedì 25 settembre. Siamo arrivati verso sera a Kherson, dopo mille chilometri in cui abbiamo trafitto tutto il Paese, da nord a sud, i Russi sono a 5 km, sull’altra sponda del fiume. La città aveva 350 mila abitanti, ora ne restano 20 mila. Il posto è strategico, siamo sulla porta della Crimea. La città è spettrale, con strade vuote e luci a macchia di leopardo sulle facciate dei grandi palazzoni residenziali, luci che testimoniano di vite che nonostante tutto continuano, vite di persone che non se ne sono andate o che non hanno potuto farlo. Quando scende la notte fa paura, il buio avvolge ogni cosa e il silenzio è rotto da colpi continui di cannonate. La notte passa tra suoni di sirene ed esplosioni anche forti e vicine, dormiamo nei sotterranei. In piena notte un colpo fortissimo sveglia tutti quanti, sembra caduto dietro la finestra, guardo i vetri per vedere se si sono rotti, ho avuto paura, quella che non avevo mai provato prima nella mia vita, la paura della guerra. Sparano cannonate in continuazione, per tutta la notte, un lugubre concerto sulla follia della mente umana, la stessa che da duemila anni non riesce a liberarsi da questo cancro e che sembra dimenticare che siamo ospiti di una piccola pallina che vaga in un universo così grande da non concepirne né l’inizio né la fine. Fuori il cielo è stellato e l’aria limpida, le costellazioni sono stampate nel buio del cielo e sembrano assistere impotenti a tanto ridicolo affanno. Certo che se qualcuno si fermasse ad osservarci da lassù non potrebbe che mettersi le mani tra i capelli e andarsene, forse davvero non siamo soggetti recuperabili.
Stamattina faremo uno spettacolo, i preti ci hanno preparato una colazione da sogno per ringraziarci di essere arrivato fin quaggiù. Siamo il primo gruppo che viene a fare spettacoli in questi posti, se escludiamo clown Pimpa (Marco Rodari) che da solo gira queste terre già da un anno.
Questo pensiero ci da forza ma anche tristezza, possibile che a nessuno in Europa sia venuto in mente di portare gioia in queste terre dimenticate da Dio? Dovrebbe esserci una fila d’attesa. Sembra che solo i Padri della Chiesa Greco Romana abbiano capito il valore di quello che stiamo facendo e ce lo dimostrano in ogni maniera, anche con una buona colazione.
Grazie a tutti coloro che sulle nostre pagine social ci hanno manifestato affetto e vicinanza, grazie anche a quelli che fanno finta di non vederci. (25.9.23)
Ieri su “Il Resto del Carlino” Angelica Malvatani titolava IL TEATRO TRA LE BOMBE. Oggi, qui a Kherson, quel titolo ha trovato la sua massima aderenza. Abbiamo fatto lo spettacolo all’aperto, fuori dalla Chiesa, tra sirene ed esplosioni di mortaio, anche molto vicine. Nessuno si è mosso e per un’ora la musica e i racconti hanno oscurato la guerra. Ovviamente nessuno di noi aveva mai fatto uno spettacolo con cannonate che arrivano dall’altra sponda del fiume, è un contesto davvero impensabile. Il pubblico resta e noi andiamo avanti. Al termine ci stringiamo tutti insieme: pubblico, attori, preti, sono momenti forti che nessuno scorderà mai e qualche lacrima scende. Poi quel piccolo popolo di una città che non c’è più, pian piano scema, li vediamo allontanarsi lungo la strada e perdersi tra i grandi palazzi feriti, pieni di finestre rotte, di teli di nylon messi a tappare quello che si può, è dura pensare che lì continueranno a vivere e non si sa per quanto altro tempo ancora. Per fortuna arrivano tanti aiuti internazionali, la Chiesa è piena di scatoloni e almeno il mangiare è garantito.
Intanto sono arrivati a Leopoli Simona Ripari e Gabriele Claretti, hanno cominciato a fare spettacoli nelle scuole della città. W TEATRI SENZA FRONTIERE. (25.9.23)
Spettacolo a Kherson, sul sagrato della Chiesa.
Martedì 26 settembre. Abbiamo lasciato Kherson per Kryvyi Rig dove arriviamo in tarda mattinata. Oggi doppio spettacolo per le scuole e poi in serata saremo a Dnipro. Incontriamo sempre tanta gente, tanti ringraziamenti e tanto affetto. C’è in ognuno la convinzione che presto festeggeranno la liberazione dai russi, seppellendo una volta per tutte quest’ombra che da sempre li opprime. È nelle parole di ciascuno, in ogni discorso. Un signore ci ha fatto vedere il video di un maiale che sta allevando e che macellera’ quando avranno vinto.
Abbiamo fatto spettacolo accanto ad un capanno dove una decina di donne realizzano teli mimetici per l’esercito, hanno figli al fronte e sono più che motivate. Adesso stanno producendo teli autunnali ma sono già pronti i materiali bianchi per quelli invernali. Di fronte a un popolo così compatto e deciso, solo uno squilibrato poteva pensare ad un’occupazione militare. Quando ti salutano dicono SLAVA UCRAINI (gloria all’Ucraina). Intanto a Leopoli, a oltre mille km, altri continuano a fare spettacoli. (26.9.23)
Andiamo in alcune Scuole di Kryvyj Rhi, la mattinata comincia bene, allarme bombe e tutti nei sotterranei. Hanno attaccato con dei missili. Uno è caduto. Questa è la città natale del presidente Zelesky. Noi siamo qui ed abbiamo fatto comunque due spettacoli, anche se nei sotterranei. Le Scuole, per legge, debbono avere dei bunker dove riparare in caso di allarme aereo, la capienza di questi spazi determina le classi che possono fare didattica in presenza, quelli in eccedenza restano a casa e la fanno con il computer, c’è un programma di rotazione. Vedere ammassati Insegnanti e bambini nel sotterraneo è un altro di quegli spettacoli che non avrei mai pensato di poter vedere, una ferita profonda, come una lancia che entra nel fianco e ci resta conficcata. Gli unici sgomenti siamo noi, loro evidentemente sono abituati, ridono e chiacchierano. Facciamo lo spettacolo nello spazio più grande dove si ammassano tutti quanti, siamo uno sull’altro ma ci siamo. E’ un momento forte, molto forte, vorresti caricarli tutti su un tappeto volante e farli volare altrove, in un posto dove possano vivere la scuola e l’infanzia con la gioia che si deve. Per la cronaca un missile fuori cade e ci sono due morti. Andiamo avanti. (27.9.23)
Mercoledì 27 settembre, giorno undici. Dopo le sirene e il missile caduto a Kryvyj Rih, che ci ha fatto conoscere la forza dello spettacolo nel bunker, siamo ripartiti per Dnipro dove un piccolo popolo di bambini e genitori ci ha aspettato nel centro Caritas della Città. Ancora mani, ancora abbracci, ancora umanità. Dnipro è una grande città attraversata dal fiume Nipro, si vedono spiagge dove d’estate la gente fa il bagno e tanto verde. Tutte le città ucraine che abbiamo visto sono ricchissime di alberi e ampie zone destinate a parchi e giardini, d’altra parte qui non hanno problemi di spazio, il territorio è molto vasto e pianeggiante e più che ammassare grattacieli si sono sviluppati in larghezza, dando vita a Città che si estendono fino a 50 chilometri da un capo all’altro. Il centro Caritas è strapieno di scatoloni provenienti da ogni parte del mondo. Conosciamo un italiano che ha sposato una dottoressa ucraina di Dnipro, vivevano in Italia, al nord, poi, dopo lo scoppio della guerra, hanno deciso di tornare, in città c’è bisogno di medici, lei ha fatto questa scelta e lui l’ha seguita.
In serata abbiamo raggiunto Zaporizhia, la città della centrale atomica. Siamo arrivati sfiniti, ciascuno ha scaricato il proprio bagaglio di emozioni e siamo crollati, giusto in tempo per sentire le sirene che annunciavano nuovi missili in arrivo. Quelli che la contraerea non riuscirà ad abbattere cadranno, dove avverrà fa parte della lotteria che questa gente vive oramai da due anni. Domani tre spettacoli a Zaporizhia e un intervento in un ospedale per bambini. Ancora grazie a chi ci fa sentire affetto, sappiate che lo stiamo restituendo, tutto. (27.9.23)
28 Settembre. Dopo aver battuto tutti i record di Teatri Senza Frontiere, con i quattro spettacoli di ieri a Zaporizhia, stamattina siamo in viaggio verso Kharkiv, grande città a una manciata di km dal confine con la Russia e per questo bersaglio di continui bombardamenti. Ieri a Zaporizhia abbiamo visitato l’Ospedale per bambini e fatto diversi interventi nei reparti, ci sono molti piccoli pazienti. Accompagnati dalle suore della Chiesa Greco Cattolica della Città siamo entrati nel cuore del complesso e portato scatoloni di risate e divertimento. Anche questa volta un’esperienza che ci ha riconciliato con la stanchezza e ridato energia per proseguire. C’è sempre con noi il vescovo Max, così vuole essere chiamato, non molla mai, è sempre presente e traduce tante parti dello spettacolo per renderle più chiare. Quando c’è il pezzo di Pulcinella e Don Fresella, lui traduce persino le pernacchie che la maschera italiana elargisce a piene mani, è dietro al telo, vicino al burattinaio, oramai sono affiatati e si divertono da morire. Certo che vedere un Vescovo tradurre le pernacchie non è cosa di tutti i giorni, a Kherson lo abbiamo visto dire la messa con i paramenti che gli sono propri, con il cappello sontuoso in cima al quale svetta la croce e adesso è dietro una baracca insieme ad un burattinaio napoletano. Direi che la cosa è semplicemente straordinaria.
All’ora di pranzo ci aspettano nella parrocchia dove siamo a dormire, un bel complesso tutto in legno dentro Zaporizhia, bisogna dire che la Chiesa Greco Cattolica di Ucraina ci ha fatto vedere tutta la sua potenza e capacità di azione, anche in questa zona, che pure è a maggioranza ortodossa, hanno una presenza molto forte e il complesso che ci ospita ne è una palese dimostrazione. Facciamo lo spettacolo a mezzogiorno, sotto un sole battente e tanta gente che ci chiediamo da dove sia venuta.
Nel pomeriggio abbiamo altri due spettacoli e siamo per la prima volta in un teatro, uno spazio con tanto di insegna esterna, molto contemporaneo, con i mattoni a vista. Sono previste due repliche perché il Vescovo dice che le prenotazioni sono state tante e si è resa necessaria una doppia rappresentazione. Chiediamo da dove viene tutta questa gente, Max ci risponde che molti sono profughi scappati dalle zone occupate dai russi e gli altri frutto della loro capacità organizzativa. Finito il primo spettacolo, fatti i saluti, dati i palloni che “Clown & Clown Festival” anche quest’anno ci ha fornito, assistiamo al miracolo dello scambio, la piccola folla esce e subito dopo il teatro è di nuovo pieno. La stanchezza svanisce, siamo contenti di essere qui, non dimenticheremo i mille volti che ci hanno sorriso. A Leopoli continuano gli spettacoli di Simona Ripari e Gabriele Claretti. (28.9.23)
Il giorno successivo partiamo alla volta di Kharkiv, all’estremo orientale del Paese, siamo a meno di quaranta chilometri dal confine con la Russia, prima della guerra c’era uno scambio continuo, la gente passava da una parte all’altra senza problemi, sono molte le persone che avevano dato vita a famiglie miste. Ora tutto è bloccato, molti nuclei si sono separati e vista la vicinanza arrivano un bel po’ di missili in città. Kharkiv è molto grande, prima del conflitto faceva un milione e mezzo di abitanti, piena di vita, con giovai universitari a riempire strade e locali e tanto verde. Oggi ne restano molti meno e la sera il coprifuoco spegne quella vitalità che gli era propria. Ci portano in un quartiere di periferia, fatto di grandi palazzoni condominiali, qui sono caduti missili russi ed hanno fatto una strage. Alcuni di questi palazzi sono già stati rimessi in sesto, altri ancora no. Ce n’è uno che toglie il respiro, è l’immagine della deriva del genere umano. Hanno colpito di sera, quando le famiglie erano a tavola, le hanno spazzate via come fa il vento con le foglie sulla strada. Si vedono le budella della costruzione, le sue interiora, le sue ferite ancora grondanti sangue.
Cosa si può dire di fronte a questo scempio?
Forse il silenzio è la migliore cosa.
Venerdì 29 settembre, siamo verso la fine del nostro viaggio. Ripartiamo da Kharkiv verso Kiev e poi a Leopoli, 1100 km, dove ci ricongiungeremo con gli altri. Abbiamo fatto complessivamente 31 spettacoli, percorso tremila km dentro l’Ucraina, incontrato migliaia di uomini, donne, bambini, stretto mani, impresso volti. Il momento più difficile a Kherson, sotto i colpi dei cannoni russi, il momento più bello è plurale: i giovani nelle strade di Leopoli, le lacrime di tante donne che ci hanno abbracciato al termine degli spettacoli, le infinite pianure di grano, granturco e girasoli, la compattezza di un popolo che non cederà mai alla prepotenza e che per la sua libertà sta sacrificando la migliore gioventù, un seminario di preti che cantano bella ciao, i bambini trasportati via per un’ora dal terrore di una guerra folle. Il momento più brutto, i palazzi sventrati di Kharkiv, monumento al fallimento dell’intelligenza umana, almeno uno dovrebbero lasciarlo così com’è, a monito e memoria, come abbiamo lasciato Auschwitz o ground zero. Grazie alla Chiesa Greco Cattolica Ucraina che ci ha permesso di fare questa grande esperienza, grazie a Padre Ihor, al Vescovo Maxym, a Ivan per aver guidato ogni giorno. Grazie a tutti voi che ci avete seguito da lontano e fatto sentire vicinanza, abbiamo girato il vostro affetto al popolo Ucraino, li abbiamo cinti in un enorme abbraccio e gli abbiamo testimoniato che non sono, né saranno mai soli. SLAVA UCRAINI. (29.9.23)
RIFLESSIONI DI FINE VIAGGIO. In origine forse il teatro è stato l’incontro tra piccoli esseri umani messi al cospetto dell’indecifrabile e immenso mistero della vita. Forse la vastità del mondo li aveva resi umili e forse attraverso il teatro comunicavano la loro solidarietà, il loro farsi forza al cospetto di un cielo stellato. In Ucraina è successa una cosa analoga, messi di fronte all’immensità della follia della guerra, ci siamo presi per mano l’uno con l’altro, per sentirci vicini e ancora umani. Non riusciamo ancora ad estirpare questo cancro dalle nostre vite, pensavamo che almeno in Europa potesse essere solo un brutto e lontano ricordo, invece così non è stato, secoli di musica, di teatro, di letteratura, non sono serviti a nulla e nuovi focolai si stanno accendendo. Dobbiamo dirlo forte e scriverlo ovunque: chi causa guerre non è solo un criminale che manda a morire milioni di giovani, è anche un IMBECILLE, uno a cui è stato inutilmente donato un cervello. Con Teatri Senza Frontiere siamo andati a testimoniare questa certezza a persone brutalmente aggredite, per stare loro vicini e farci forza di fronte al naufragio del nostro essere creature pensanti e in affitto su questo splendido Pianeta. Che forse non bastavano le malattie? Gli incidenti? I disastri naturali? Occorreva pure la guerra? Abbiamo spinto il nostro teatro fino a 5 km dal fronte, abbiamo messo a rischio le nostre vite, per dire forte che non ci stiamo, che la Russia si deve vergognare e che i giovani di quel Paese dovrebbero trovare il coraggio di scendere in piazza e dire basta. In mezzo alle migliaia di testimonianze al favore del popolo Ucraino, oggi c’è anche la nostra, piccola quanto vi pare ma è lì, la riconosciamo tra la moltitudine è siamo fieri per quello che abbiamo fatto. Torniamo con valige piene di abbracci e strette di mano, sono così colme che quasi scoppiano, saranno con noi per sempre. Grazie al Teatro per averci dato questa grande opportunità, grazie a chi ci ha manifestato vicinanza, a chi ci ha sostenuto, alla splendida realtà della Chiesa Greco Cattolica di Ucraina. (30.9.23)
Alle porte di Kherson, il primo a sinistra Ivan il driver, l’ultimo a destra Maksym Ryabukha, Vescovo assistente dell’Esarcato di Donetsk
Per tornare a casa abbiamo impiegato tre giorni interi di viaggio, il primo da Kharkiv a Leopoli, in pulmino, 1100 chilometri, con pochi tratti di autostrada che in Ucraina, tra l’altro, è senza pedaggio. Il secondo da Leopoli a Cracovia, in pullman, per un tempo che nessuno può calcolare, siamo partiti alle 9,30 del mattino e siamo arrivati alle 18 del pomeriggio, con una sosta alla dogana che è durata oltre quattro ore, tra racconti di persone che ricordano di avercene messe anche molte di più. Terzo giorno da Cracovia a Roma, in aereo, con scalo a Vienna, partenza ore 14,00, arrivo al Roma ore 21,00, poi recupero bagagli e ritorno in macchina fino a casa, a completare appieno il terzo giorno.
Alla dogana c’è sempre un gran movimento, sia in entrata che in uscita, i controlli sono accurati e portano via molto tempo. Il pullman partito da Leopoli è in gran parte pieno di donne e bambini, gli uomini per legge non possono lasciare l’Ucraina, debbono restare a difenderla, così molte famiglie si sono separate, tantissimi sono stati accolti in Polonia e altrettanti anche in Italia, le mogli e i figli ogni tanto tornano e vanno a trovare i mariti rimasti in Patria. Alla dogana ho visto passare due convogli militari, tutto si è fermato e le guardie hanno creato un corridoio diretto, c’erano dei carri armati coperti da teli verdi e dietro, in entrambi i casi, almeno quindici TIR normali, vale a dire con insegne commerciali varie che li seguivano. Passano veloci, senza fermarsi, scortati avanti e dietro da mezzi della polizia, vanno al sud e all’est, nelle zone dove sta il fronte. E’ impossibile non pensare a come sarebbe questo nostro mondo se tutti i soldi che nei millenni abbiamo speso per ammazzarci fossero stati destinati alla vita più che alla morte, oggi avremmo avuto sicuramente un pianeta sempre in fiore, senza le vergogne della miseria, della fame, delle infanzie violate, un giardino in cui vivere in pace, uomini e donne di tutte le latitudini, un pianeta di cui andare fieri. Sono fermamente convinto che presto o tardi l’umanità entrerà in contato con altre popolazioni aliene, è statisticamente certo. Come ci presenteremo al loro cospetto? Cosa diremo della nostra civiltà? Come potremo giustificare i massacri, le guerre, i popoli che muoiono di fame, l’avidità che regna nelle nostre vite. Che penseranno di noi, sotto quale zerbino sarà possibile nascondere una storia come quella che abbiamo scritto. Probabilmente ci ascolteranno, poi gireranno le loro navi e scompariranno nel nulla dell’universo, cercando di dimenticarci.
Sono tanti i ricordi e le immagini di questa esperienza, nulla è paragonabile a 31 spettacoli fatti in Italia, siamo su due piani emotivamente diversi. Un immagine la voglio riportare, siamo a Karkiv, l’ultimo giorno, di pomeriggio facciamo lo spettacolo nel prato davanti la Chiesa Greco Cattolica della Città, è un complesso molto grande, avvolto da impalcature di legno, cosa insolita che avevamo visto solo in Africa. Non l’hanno colpita i Russi, stavano solo facendo dei lavori di completamento. Una squadra di operai, guidati dal loro capomastro, si stava adoperando per ridare alla Chiesa stucchi e splendore, affinché fosse bella, imponente, visibile e potesse parlare al cuore di quanti la guardavano. Poi è scoppiata la guerra, i lavori si sono interrotti, il capomastro e i suoi operai sono andati al fronte, a difendere la loro terra e le loro famiglie. Sono morti e tutto è rimasto congelato in un tempo surreale. Quella Chiesa, avvolta da una geometria di legni pazientemente incastrati, è diventata nel mio immaginario il simbolo della violenza, della crudeltà, delle insensate azioni che l’uomo è capace di fare. Una decisione presa a migliaia di chilometri di distanza, su un tavolo circondato da uomini in cravatta ed uniforme, ha spezzato milioni di vite, strappando un manipolo di giovani e il loro capo mastro al lavoro che stavano facendo, alle loro famiglie, ai figli. Ciò che ci hanno lasciato è un monumento a questa immane ed ennesima tragedia dell’umanità
Ce ne andiamo dall’Ucraina con un dubbio. Ci hanno detto che lo stipendio medio si aggira attorno ai trecento euro al mese, spesso anche meno, la vita costa poco, meno della metà che in Italia e questo lo abbiamo potuto appurare di persona: andando a mangiare nei locali, prendendo una birra, un taxi, tutto costa veramente poco. Andando in giro e focalizzando l’attenzione sul traffico e le automobili, abbiamo però notato un parco macchine che stride profondamente con quanto detto prima. Non ci sono che pochi esemplari di mezzi vecchi e malandati, il resto sono tutti nuovi e soprattutto di grande cilindrata. Neppure in Italia si vedono così tanti mono volumi Audi, BMW, Hyundai ecc. Macchinoni parcheggiati ovunque fanno bella mostra di sè, non solo a Leopoli o Kiev ma un po’ dappertutto. D’altra parte anche in Italia abbiamo potuto vedere auto costose targate Ucraina che dopo la guerra hanno cominciato a circolare nel traffico delle nostre città. La domanda sorge allora spontanea, come si conciliano gli stipendi con questo parco auto?
L’ho chiesto ai nostri accompagnatori, anche più di una volta, ma le risposte non mi hanno convinto. Sostengono che spesso si tratta di auto usate e non nuove, ma anche usate i conti non tornano se li si mette vicino ai trecento euro al mese, senza considerare che ho l’assoluta certezza che fossero nuove e parliamo di mezzi che costano dai 50 mila euro in su. Poi aggiungono che in effetti nel Paese esiste un problema legato ad una corruzione dilagante e che molti guadagni vengono da questo genere di attività. Cosa più credibile ma ancora non sufficiente, della corruzione si sapeva, tanto che tra le clausole che l’Europa aveva chiesto al Paese per entrare c’era anche quella di mettere fine a questa pratica poco edificante. La quantità dei macchinoni però è tale che neppure la corruzione può giustificarli. Resto col dubbio e lo lascio svanire tra le immagini degli infiniti campi di grano, a perdita d’occhio, ovunque si volga lo sguardo, quei campi sovrastati da un cielo limpido e azzurro che nei quindici giorni di permanenza non ci ha mai abbandonato. Quella è la bandiera dell’Ucraina, una nazione che ora sento ancora di più come mia, alla quale auguro tutto il bene del mondo e la fine della guerra già da domani, poi avremo tutto il tempo per occuparci anche delle auto di grossa cilindrata.
Sotto, da sinistra a destra: Gabriele Claretti, Marco Pedrazzetti, Ruggero Ratti, Padre Ihor Boyko.
Sopra, da sinistra a destra: Marco Renzi, Maurizio Stammati, Stefano Tosi, Noemi Bassani, Sig.a Boyko, Simona Ripari, Padre Giovanni.
Simona Ripari e Gabiele Claretti che hanno operato a Leopoli nella seconda settimana di attività.