Buongiorno amici di Utopia siamo all’interno del Centro Culturale Aldo Moro di Cordenons con Fabio Scaramucci, direttore di Ortoteatro e parte del consiglio direttivo di UNIMA Italia.
Cosa rappresenta per te il teatro ragazzi? Che importanza ha? Che ruolo ha qui all’interno di questo centro culturale?
Ho visto sempre il teatro ragazzi come un mezzo per formare gli uomini del domani. Per me la cosa più importante in assoluto è come formare gli uomini e non gli spettatori del domani. Formarli attraverso la bellezza, attraverso la crescita del pensiero, della socialità, dello stare insieme, del poter discutere; nel vedere le cose belle, importanti, che aiutano a ragionare e a immaginare sempre un futuro ricco di bellezza. Per me questo è fondamentale.
Pensi che sia ancora facile, per il teatro ragazzi, dialogare con i giovani abituati a utilizzare tecnologie e piattaforme con i loro ritmi frenetici ed effetti speciali?
Assolutamente sì. La difficoltà di stare insieme in luoghi di incontro dove tutti sono vicini sicuramente si è vista. In quest’anno c’è una ripresa incredibile di pubblico. Stiamo continuando a mandare via gente dai teatri. Il che vuol dire che c’è una grande voglia di andare a teatro e di stare insieme.
Penso poi che le tecnologie, gli effetti visivi non sono assolutamente da demonizzare. Io li utilizzo. L’importante è che non tolgano il bisogno di contatto umano e il bisogno di lentezza. Credo ci sia un grande bisogno di lentezza, di assaporare le cose con dei ritmi più naturali. Vedo che gli spettacoli di cantastorie, con i loro ritmi antichi catturano sempre i bambini e i ragazzi; anzi, forse, li catturano ancora di più della velocità di queste immagini che vanno ora nel mondo del multimediale. Sono molto positivo.
Condivido molto questa tua riflessione sulla lentezza. Pensi che il teatro si possa rinnovare e andare incontro a queste nuove tecnologie, provando a sperimentare qualcosa di diverso?
Che si possa fare questo, indubbiamente. Si può fare, anzi, lo deve fare chi ne sente la necessità. Ma la rincorsa al continuo rinnovarsi dei linguaggi non è sempre la cosa giusta. Nei bandi, regionali o nazionali, premiano spesso col punteggio l’innovazione e le nuove tecnologie. Penso che non sia ciò che noi artisti dobbiamo cercare, a meno che non sia una nostra esigenza. Il “bisogna assolutamente farlo, perché c’è quel punteggio…”, la vedo come una cosa completamente sbagliata. La forza del teatro è proprio nel confrontarsi, nel raccontare storie a volte usando le tecniche millenarie del teatro. E poi di quali nuove tecnologie parliamo? Perché spesso parliamo di tecnologie vecchie di 20 o 30 anni.
Mi veniva in mente questa frase all’interno di un film di Spielberg che si chiama Ready Player One, il protagonista dice: “io mi collego a questa piattaforma perché sopra questa piattaforma posso essere quello che voglio”. Pensi che anche il teatro può dare questa possibilità ai giovani?
Certo, assolutamente. Il teatro per le nuove generazioni secondo me ha più funzioni. Anche quando parliamo di laboratori teatrali per i ragazzi, da un lato il laboratorio teatrale può portare a formare dei nuovi attori, delle persone che poi si occuperanno di teatro, ma dall’altro lato il teatro è un metodo per far sognare, per immaginare, per diventare. E quindi il teatro serve per sognare di “essere”, e magari quando uno sogna di essere qualche cosa riesce poi a diventare qualcuno o qualcosa che si avvicina a quello che ha sognato.
Citando Grotowski,” Non è il teatro che è necessario, ma assolutamente qualcos’altro. Superare le frontiere tra me e te: arrivare ad incontrarti per non perderti più tra la folla, né tra le parole, né tra le dichiarazioni, né tra idee graziosamente precisate, rinunciare alla paura ed alla vergogna alle quali mi costringono i tuoi occhi appena gli sono accessibile “tutto intero” In questa tipologia di strutture teatrali, come il vostro Auditorium, c’è sempre questa distanza data dal teatro all’italiana. Tu dici che il teatro ci dà la possibilità di poterci rincontrare, guardarci negli occhi, confrontarsi, noi attori con il pubblico. C’è questo nel teatro?
Assolutamente sì. Penso alla gente che rimane alla fine dello spettacolo. Rimane a parlare. Si possono organizzare gli eventi in modo che la gente abbia la possibilità e la voglia di restare a parlare in teatro dopo lo spettacolo. Nel momento in cui si guarda lo spettacolo non c’è modo di chiacchierare: c’è un coinvolgimento diverso, emotivo. Ma al termine la parola diventa importante, e questo non solo nel teatro, ma in tutte le arti. Ricordo quando ero ragazzo, andavo in un cinema di Pordenone dove c’era un’osteria che rimaneva aperta fino a notte inoltrata. E uscendo dal cinema andavi dall’altra parte e parlavi di arte, parlavi di cinema, parlavi di tutto.
Mancano sempre più i punti di incontro. Anche nella tua città ci sono meno punti di incontro in generale e per le famiglie?
Assolutamente sì. I punti di incontro sono meno di una volta. O meglio, i punti di incontro ci sono ma sono organizzati. Nel senso… le famiglie hanno il ritrovo perché c’è lo sport, oppure c’è la chiesa: ecco l’oratorio è uno dei punti che rimane di incontro più “libero”. Mancano dei punti di incontro “laici”. In alcuni luoghi da noi ci sono dei progetti giovani che funzionano. A Spilimbergo dove io abito c’è un progetto giovani che è veramente funzionale. Dove i ragazzi vanno e si organizzano, fanno attività. In generale questi spazi stanno diminuendo, ed è per questo che è importante che nei luoghi d’arte dove si fa teatro, cinema, musica ci possa essere un luogo in cui rimanere semplicemente a chiacchierare, a confrontarsi.
Quali sono i progetti per il futuro di Unima e di Ortoteatro?
Come Ortoteatro continuiamo a produrre gli spettacoli che portiamo in giro. E facciamo anche co-produzioni. Con la compagnia teatro invito facciamo uno spettacolo su Pasolini rivolto alle scuole superiori e agli adulti. Due co-produzioni con Walter Broggini. Cerchiamo di mischiare le professionalità perché questo porta sempre bene.
Unima Italia è sempre molto attiva e in tantissimi fronti. Ha vari gruppi di lavoro che si occupano della formazione, del pensare a come si possono migliorare le leggi del nostro settore e per il settore del teatro di figura, che lavorano sul patrimonio che abbiamo in Italia. Stiamo organizzando la giornata mondiale della Marionetta a Busto Arsizio, proseguiamo il nostro viaggio lungo l’Italia per confrontarci con tutte le compagnie e gli appassionati di teatro di figura, abbiamo appena fatto l’assemblea di autunno a Napoli e sta continuando tra i vari progetti il progetto del Simposio, un progetto che porta i vari artisti a confrontarsi e a lavorare insieme in una località d’Italia.
Cosa direbbe oggi Pier Paolo Pasolini nel guardare questa società e questo teatro?
Questa è una domanda a cui non so rispondere. Perché lui era un intellettuale unico, e nel nostro paese oggi non esistono intellettuali come lui. Aveva una visione del mondo… del futuro… della società… credo che si debba essere un genio come lui per riuscire ad analizzare il nostro mondo con un occhio diverso. Bisogna ricordarsi che lui negli anni sessanta scrisse la “profezia” dove vide arrivare le persone del terzo mondo in Italia e in Europa, in un periodo in cui nessuno l’avrebbe mai immaginato. Lui aveva uno sguardo sulla società che era completamente diverso da quello degli altri. E siccome io non sono come lui non potrei mettergli in bocca nessuna parola. Certo che lo vorremmo avere qua ancora con noi per poterlo ascoltare.
È un sistema culturale che non accetta più questa forma di intellettuale? Oppure mancano degli intellettuali in questo sistema culturale ?
Secondo me, in questo momento, mancano degli intellettuali di quella portata. Gli ultimi 40 anni in Italia hanno portato le persone a non pensare, a non avere memoria, memoria storica. Non parlo degli Artisti, parlo in generale delle persone. Dell’uso che è stato fatto dei giornali per far disinnamorare le persone della politica. La politica è semplicemente la gestione della nostra vita, della nostra “polis”. Spero comunque, dopo un periodo come questo, che gli intellettuali si facciano di nuovo sentire. Ce n’è bisogno nella politica e nella società. Cerco di essere positivo.
Ti ricordi nel mediometraggio “la ricotta”, a un certo punto Orson Wells dice che l’uomo medio è una bestia, un criminale. Si scaglia contro questa figura dell’uomo medio. Secondo te perché Pasolini gli mette queste parole in bocca?
Credo che in quel periodo della sua vita ce l’avesse con questa nuova borghesia, non riusciva più a ritrovare in Italia quella purezza che aveva ritrovato quando era giovane, nei contadini friulani e nei borgatari della periferia romana. Parla della nazione Italia come di una nazione che stava sprofondando. E va a cercare nei poveri quella purezza: è come se desse un pugno forte all’Italia per scuoterla. Lavoriamo con le nuove generazioni proprio per un futuro migliore.
Grazie Fabio,
un caro saluto a tutti.
Intervista a cura di Pierpaolo Bonaccurso e Greta Belometti
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