FEDERICA MIGLIOTTI, IL TEATRO RAGAZZI PER RENDERE IL MONDO MIGLIORE

A cura di Damiana Leone

Incontro Federica su Meet, in questi di pandemia in cui siamo costretti a lasciare il reale per il virtuale e per noi teatranti non è semplice, ma la nostra intervista anche così sarà sicuramente creativa. Federica Migliotti è una regista e pedagoga romana che da sempre lavora nel e per il Teatro Ragazzi con la Compagnia da lei fondata nel 2006, il Teatro Viola. Nome molto coraggioso per mettere piede nei palcoscenici “in viola”, ma Federica già nel nome denota coraggio e anticonformismo. Dopo i primi scambi di saluti, passiamo a raccontare un po’ il suo lavoro.

DAMIANA: Come è iniziato tutto quanto?

FEDERICA: è iniziato tutto con un laboratorio di fotografia mentre frequentavo il liceo artistico. Una vera folgorazione. Ero convinta che da grande avrei fatto la fotografa. Ora mi rendo conto che fotografia e regia hanno molto in comune, ma in quel momento il teatro era qualcosa di lontanissimo da me. Poi mi iscrissi all’Università per studiare Storia dell’Arte Contemporanea e attraverso lo studio sono arrivata al teatro. Rimasi letteralmente folgorata dalla ricerca spirituale attraverso il teatro di Grotowski, Peter Brook, Barba. A quel punto conobbi Sista Bramini (O’Thiasos TeatroNatura) e la CasaLbaoratorio di Cenci e lì è iniziato il mio percorso professionale come attrice.

DAMIANA: Quando sei approdata al teatro ragazzi?

FEDERICA:  poco dopo entrai in contatto con il Laboratorio di Teatro Integrato Piero Gabrielli del Teatro di Roma e lì lavorai per un paio di anni come assistente alla regia e ai laboratori di Roberto Gandini. Quella è stata davvero una palestra importante perché mi ha permesso di conoscere le enormi risorse che il teatro può mettere in campo in un ambito di integrazione e riabilitazione, scoprendo nuove possibilità creative e di relazione attraverso il gioco del teatro. Dopo due anni lui mi diede dei laboratori da condurre e ho iniziato il mio lungo percorso (poi approfondito con il conseguimento del diploma di Pedagogia del movimento creativo con Choronde Progetto educativo), come pedagoga teatrale per l’infanzia e l’adolescenza. Poi altra esperienza fondamentale per la mia formazione di pedagoga fu l’incontro con la Non-Scuola del Teatro delle Albe.

DAMIANA: Prima c’era già stata una fascinazione per l’infanzia?

FEDERICA:  Sono sempre stata una appassionata di illustrazioni e libri illustrati per bambini. Ne ho una libreria intera a casa! Li collezionavo già da prima che nascesse mia figlia. Sono da sempre una grande ispirazione per i miei spettacoli. Oltre ad aver lavorato giovanissima come animatrice nei centri estivi.

DAMIANA: Ma la tua prima regia quando è arrivata?

FEDERICA:  Vide la luce al Rialto Occupato nell’ambito della rassegna Ubusettete per il gruppo Stradevarie capeggiato da Soledad Nicolazzi. Aveva un linguaggio molto visionario quasi grottesco, in qualche modo per un pubblico senza età.

DAMIANA: Quindi senza saperlo già ti stavi orientando verso un certo tipo di linguaggio?

FEDERICA:  assolutamente sì. Non esiste teatro per l’infanzia se non c’è l’infanzia, (ricordata, inventata, osservata) in qualche modo nella mente di chi crea! Quel linguaggio poi venne sviluppato nella mia prima regia di un mio progetto “La Principessa ranocchia”, una versione al femminile del ranocchio trasformato in principe, assecondando anche una mia altra antica passione, che è quella per la musica e il canto popolare, che spesso ha attraversato i miei spettacoli.

DAMIANA: Infatti ricordo molto bene il primo spettacolo con la tua regia che vidi al Teatro Lo Spazio sull’emigrazione italiana, in cui era molto presente il canto popolare eseguito dal vivo.

FEDERICA:  Si, in “Un’alba da qualche parte” (questo il titolo dello spettacolo) la musica era molto presente, seguendo e integrando la narrazione, scelsi di lavorare sull’emigrazione italiana perché in quel momento mi sembrava il modo di raccontare quello che in Italia stavamo vivendo con l’immigrazione. Pensa che quello è stato il mio unico spettacolo fatto per un pubblico adulto.

DAMIANA: Quando hai fondato la Compagnia Teatro Viola?

FEDERICA:  subito dopo la “Principessa Ranocchia”, venni contattata dalla discoteca di Stato che mi commissionò uno spettacolo per la Settimana della Cultura Italiana. Decisi di lavorare su una delle fiabe italiane di Italo Calvino con la musica popolare. Quello fu un momento davvero importante perché mi portò a fondare la compagnia.

DAMIANA: sicuramente sei stata molto coraggiosa a chiamare la tua compagnia Teatro-Viola! Che poi è anche il nome di tua figlia…

FEDERICA:  Si, la superstizione rispetto al viola a teatro mi ha sempre fatto sorridere!… Era marzo 2006, mia figlia Viola era nata da quattro mesi, io allattavo mentre facevo le prove. Allora un po’ per questo, un po’ perché non sono mai stata superstiziosa e perché avevo la vocazione provocatoria giovanile, un po’ perché è un nome che ha una varietà di significati, un fiore profumato, uno strumento musicale, un colore, il settimo chakra…. alla fine scelsi questo nome. E poi il viola è anche il colore della spiritualità! Fondata la Compagnia, a quel punto avevo capito che volevo dedicarmi prevalentemente alla regia e che la mia cifra stilistica sarebbe stata la commistione di linguaggi differenti: la musica, la narrazione, il teatro d’attore, la danza.

DAMIANA: è molto difficile trovare mamme nel mondo dello spettacolo, in particolare nella regia e poi pensare a te che allatti mentre fai le prove con tua figlia e che il nome della tua compagnia ha lo stesso nome che porta lei, mi sembra una cosa molto poetica- e da un punto di vista politico anche molto interessante.

FEDERICA:  mia figlia è molto fiera che la compagnia abbia il suo nome. All’inizio, come mamma, rimasi sorpresa della facilità con cui riuscivo sia a lavorare che a portare avanti il mio essere madre, lei era sempre con me. Poi però, col passare del tempo e non è stato semplice. Sicuramente mi ha aiutato il fatto di lavorare in orario scolastico  con le matinèe e i laboratori. Certo, come in molti altri purtroppo, essere madre spesso è invalidante. Infatti io  ripreso pienamente il mio lavoro da regista solo quando mia figlia è cresciuta un po’. Purtroppo, è così e io l’ho vissuto direttamente sulla mia pelle. Pensa che da quando lei aveva cinque anni fino alla fine delle scuole elementari ho “partorito” solo due nuove produzione, e questo perché non riuscivo ad avere la mente sgombra e lucida.

DAMIANA: secondo te i laboratori con bambini e ragazzi rientrano nel tuo lavoro di regista?

FEDERICA:  Assolutamente sì perché è stato grazie ai laboratori che io ho imparato a conoscere il mio pubblico, a sentirlo, a capirlo e anche a riflettere su cosa raccontare e come farlo. Ma è un lavoro molto faticoso e io, in un certo senso, forse non ho più l’età! Ora conduco solo due gruppi e gli altri laboratori del TeatroViola li portano avanti le mie meravigliose collaboratrici Jessica Bertagni e Carlotta Solidea. Il mio lavoro negli ultimi anni è sempre più orientato esclusivamente verso le produzioni e la regia e da cinque anni anche verso la programmazione della stagione di Teatro per le Nuove Generazioni del Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma, il teatro del mio cuore. Anche nello scegliere quali spettacoli programmare e proporre alle famiglie e alle scuole, conoscere bene il mio pubblico è stato essenziale.

DAMIANA: quando ti ho conosciuto, ricordo che eri in fase di esplorazione anche attoriale…

FEDERICA:  ancora lo faccio  nello spettacolo “Martina Testadura” ispirato a Gianni Rodari in cui racconto, canto e sudo per un’ora filata e nello spettacolo  “Un ricordo” ispirato ad un racconto di Truman Capote ideato insieme a Paolo Civati, un lavoro in maschera. Recitare mi diverte molto, ma sicuramente quello che prediligo in questo momento è la regia. Negli ultimi anni la mia ricerca ha approfondito  anche altri linguaggi espressivi fino ad arrivare ad uno spettacolo in cui non ci sono più parole ma solo musica e movimento.

DAMIANA: in qualche modo sei ritornata all’immagine pura, come quando eri appassionata di fotografia e illustrazioni.

FEDERICA: probabilmente sì. Questo progetto, “Parlami Terra” che ha debuttato al Festival Contemporaneo Futuro a luglio 2021 a Roma era in cantiere già prima del Covid, ma poi è slittato tutto. Questa spettacolo, come quello coprodotto con Chiara De Bonis “Alice delle Meraviglie” che avrebbe dovuto debuttare al RefKids nel 2020, hanno visto la luce solamente quest’anno, ma probabilmente risentono di quello che è successo, perché inevitabilmente questa pandemia ci ha cambiati.

DAMIANA: Ma durante il lockdown a te è successa una cosa davvero interessante…

FEDERICA:  casualmente, pochi giorni prima che fosse dichiarato il lockdown, io e la mia collega Chiara De Bonis con le nostre figlie eravamo state invitate da un nostro amico in una casa in campagna, e lì siamo rimaste bloccate per tre mesi completamente isolate e in contatto strettissimo con la natura. Sembrerà strano ma io, che pur amandola moltissimo non avevo mai vissuto un periodo continuativo così lungo in campagna, mi sono ritrovata meravigliata dal passaggio delle stagioni, dai cieli, dagli odori, dai tempi e dal ritmo inesorabile della Natura. Per la prima volta nella mia vita ho sentito il legame fortissimo e primigenio che ci unisce a lei. Mentre il mondo si fermava, la natura continuava come se niente fosse e si rinnovava in modo sorprendentemente veloce per me. E’ stata un’esperienza che mi ha cambiata radicalmente .

DAMIANA: e tutto questo hai cercato di restituirlo nello spettacolo “Parlami Terra”, provando direttamente a contatto con la natura e durante la vostra avventura in campagna…

FEDERICA:   “Parlami terra” era già in cantiere da un anno, era un tema di cui sentivo la necessità di parlare. Poi l’esperienza della pandemia e del nostro speciale lockdown ha dato degli spunti di riflessione in più. E’ lì che ho deciso di chiedere a Chiara di collaborare e successivamente ho coinvolto il danzatore e coreografo Damiano Bigi. E’ stato un lavoro di creazione condivisa in varie tappe di cui io ho poi curato la regia. E’ un tipo di ricerca a cui sto approdando e sicuramente quell’esperienza è stata veramente fondamentale.

DAMIANA: ma durante il lockdown hai creato un’altra cosa molto interessante, forse anche grazie alla tua passione per le illustrazioni. La web serie veramente originale  “In carrozza! Teatro, storie musica per viaggiare con la fantasia” in cui il personaggio di Cosetta, interpretato da Chiara De Bonis dal carrozzone in cui viveva parlava con i bambini e “lanciava” dei video-racconti realizzati da altre compagnie.

FEDERICA:  sì, proprio a fianco alla casa in cui eravamo c’era questo meraviglioso carrozzone antico appartenuto a veri giostrai che abbiamo allestito e in cui abbiamo pensato di girare le puntate

DAMIANA: voi era veramente molto interessante da seguire perché non si trattava di teatro fatto in video …

FEDERICA:  sì anche questa è stata una delle avventure che ci ha regalato il lockdown in campagna, perché la creatività e la fantasia sono state molto sollecitate dal contesto naturale e dalla “mancanza di distrazioni” . Quello che viveva Cosetta in parte riproduceva quello  che stavamo vivendo noi. E grazie ai miei colleghi Antonino Pirillo, Giorgio Andriani e Valentina Marini, i direttori artistici del Teatro Biblioteca Quarticciolo, che lo hanno coprodotto e hanno da subito creduto in questa follia (non avevo mai fatto regia video in vita mia) abbiamo potuto mantenere un filo rosso tra il pubblico del teatro (e non solo!) e le compagnie che di solito si occupano di infanzia, in un momento davvero molto difficile per tutti.

DAMIANA: praticamente hai fatto un po’ come Boccaccio, ma al posto del Decameron hai fatto la web serie “In Carrozza” e lo spettacolo ”Parlami Terra”, che effettivamente mi sembravano un bel inno alla vita. Ma arriviamo a salutarci con la domanda fatidica: Che cos’è per te fare Teatro per le Nuove Generazioni?

FEDERICA: Una grande possibilità espressiva. Col pretesto dell’essere “per l’infanzia” puoi esprimere cose che altrove non potrebbero essere dette. E’ un espediente creativo che mi consente di confrontarmi con una dimensione esistenziale diversa dalla mia, un vero e proprio de-centramento rispetto al sé adulto che in termini artistici, oltre che filosofici, come direbbe Giorgia Grilli, è fondamentale. Con i bambini credo sia più facile poter esplorare linguaggi diversi, perché con loro puoi arrivare più direttamente a parlare con la parte emotiva dando meno importanza a quella cognitivo-razionale. Sentire invece di capire. Per me il teatro per le nuove generazioni rappresenta una possibilità in più di leggere e restituire il mondo in una forma poetica. Ma è anche un atto politico,. Ho scelto di rivolgermi all’infanzia anche perché, come diceva Munari, rappresenta la società del futuro. I bambini non hanno sovrastrutture, sono sinceri e immediati, e questa è una cosa che amo molto. Occuparmi dell’infanzia mi permette in qualche modo di piantare un seme di bellezza e di senso per curare un po’ questa società malata. . E poi come tutti cerco di fare quello che posso e di restituire quello che ho imparato e cerco di farlo nel miglior modo possibile. Ricordo perfettamente la mia prima volta a teatro e l’emozione che provai nel vedere una ballerina salire in cielo seduta su uno spicchio di Luna. In quel momento era racchiuso tutto ciò che di più bello e pieno di senso potessi desiderare. E l’emozione che provò quella bambina, vorrei farla provare a tutte le bambine e a tutti i bambini che oggi vedono i miei spettacoli o quelli che programmo.

Durante questa lunga chiacchierata, io e Federica ci lasciamo con queste belle riflessioni sul fare Teatro per le nuove generazioni, di come lei creda nell’educazione al bello e alle emozioni, di come sia meraviglioso non capire tutto con la testa ma comprendere anche con il cuore. Il nostro mondo non è più abituato alla bellezza e il teatro può essere una grande scoperta di bellezza.

Forse a volte si sceglie di fare questo mestiere perché si crede fermamente che il teatro per i bambini e i ragazzi posso contribuire a rendere il mondo migliore.

 

intervista a cura di Damiana Leone