AMBROGIO SPARAGNA
e la forza dei racconti per contrastare la pandemia
D- Hai avuto da sempre un grande rapporto col teatro di figura e col teatro musicale. Cosa ti ha spinto in questa direzione?
R- Sono mezzi di straordinaria comunicazione che nascono dalle radici profonde della cultura popolare, sono degli archetipi, e come tali vanno usati per quello che sono. La loro capacità di arrivare comunque e dovunque, anche in forme diverse a persone diverse è la cosa che, dall’inizio del mio lavoro, mi ha spinto ad usarle e non come un fatto complementare ma costitutivo, nel senso che l’immagine ha la stessa funzione del racconto musicale, anzi in alcuni casi le immagini hanno avuto le parole senza che queste siano state accompagnate da frasi musicali. Le parole hanno avuto il compito di riempire contenuti subordinati. Invece l’immagine, i burattini, i pupi, solo con l’accompagnamento strumentale esaltano molto l’autonomia rappresentativa dell’immagine in movimento. Io mi sono attenuto alla tradizione del teatro di figura, trovandola sempre di grande impatto emotivo. Ad esempio nello spettacolo “trillilì”, negli anni ’80 facemmo più di 100 repliche, che per uno spettacolo di musica popolare sono dati significativi. La forza rappresentativa di questo mondo ha una energia assoluta che non bisogna mai considerare un’appendice.
D- viviamo un momento particolare. Come vedi il mondo della musica e il mondo del teatro
R – Vedo un momento di grande crisi. E non si tratta solo di non fare concerti o spettacoli dal vivo, si tratta di ripensare al ruolo di questo nostro mondo, considerato per anni non determinante. E la paura che questo momento sta generando è che continui ad essere confinato. Come a essere considerati personaggi messi ai lati venendo considerati sempre non strutturalmente importanti per la società. Questo è quello che succede a tutta la musica e il teatro. Per noi che siamo una parte quasi marginale del nostro ambiente teatrale e musicale siamo ancora più ai margini. Ma noi abbiamo una forza, quella del racconto, delle grandi immagini che hanno una una potenza narrativa di antichissima origine. Noi siamo di fatto un mondo ai margini, lontani dallo showbusiness, ma la nostra forza narrativa in questo preciso momento storico ha un ruolo molto importante. Dobbiamo tenere duro!
D – Sei un punto di riferimento di uno dei templi della musica che è l’Auditorium Parco della Musica di Roma. Come ha fatto Ambrogio Sparagna col suo organetto a diventare un maestro concertatore dell’auditorium e che valore ha tutto questo?
R – Ho sempre lavorato sui valori e sui contenuti alternativi non nella forma, ma nella sostanza, parlando di persone e luoghi e pensare a modi di rappresentazione diversi, a spettacoli diversi, conditi dalla follia di pensieri più diversi come orchestre di elementi più disparati, cori di 100 persone, gruppi di bambini. Sono arrivato in auditorium dopo 40 anni di musica per strada e continuo a rimanere di fondo un musicista di strada che riesce a suonare per strada come facevo quando ho cominciato. E questa mia matrice il pubblico la riconosce. Noi continuiamo ad avere un profilo legato alla originalità dei contenuti che non sono mai ricercati, sofisticati, sono temi fondamentali della vita: l’amore, il rapporto con gli altri, il rapporto con la natura, le grandi storie, il bisogno di spiritualità. Sono in Auditorium da 13 anni e siamo andati avanti grazie al pubblico che ha pagato senza mai ricevere un finanziamento.
D – in questo momento cosa temi di più ?
R- Temo molto il passaggio della tradizione, trasferire saperi ed esperienze alle giovani generazioni. Ad esempio, nel mio ultimo lavoro, parlo di Dante imparato fra i pastori dell’area dei castelli romani che lo conoscevano e lo cantavano a memoria. Pastori che non sapevano scrivere ma che declamavano Dante e Ariosto a memoria. Ecco, dovremmo prendere da quel mondo l’arte della trasmissione, dell’improvvisazione, della performance, giocando sulla parola, sulla rima.
D – cosa pensi della possibilità di mostrare su streaming i tuoi lavori?
R – Non credo si possano fare concerti come quelli che faccio io i streaming, con danza, gioco col pubblico, con grande rapporto empatico con la gente. Cosa diversa è l’attività didattica con un certo tipo di pubblico che ritengo fattibile. Ma suonare insieme a distanza no…non lo vedo possibile.
D – Se il Ministro Franceschini ti chiamasse chiedendoti aiuto, tu che consiglio gli daresti?
R . Gli consiglierei di lavorare e di aiutare soprattutto i gruppi che sono nelle periferie del paese, di non dare contributi esclusivi a chi lavora nelle grandi città. È vero che chi lavora nelle grandi città deve far fronte ai grandi problemi, ma chi invece lavora nei luoghi cosiddetti marginali, nelle periferie, ha problemi straordinari, dove fare teatro, fare musica è un’attività di promozione sociale prima che culturale. I fondi dovrebbero essere equamente distribuiti, senza considerate il fatto artistico di per se. Se viene tolta quella piccola possibilità quello spazio nei più piccoli paesi, il teatro morirà. Non facciamo finire il teatro in provincia. Non sono solo la grande città o le grandi istituzioni a fare teatro. La scala di Milano, ce la può fare a riprendere, ma il teatrino di Frattamaggiore no…. E il teatrino di Frattamaggiore toglie persone da situazione complicate. Anche se il teatro non è una forma di attività sociale, è una forma d’arte, ma per tornare alla grande tradizione della Taranta “è la musica che salva dalla malattia”. Altrimenti rischiamo totale dispersione dell’amore verso il teatro. le compagnie territoriali sono già abituate a lavorare con poco ma quel poco deve essere garantito per salvare il teatro.
A cura di Maurizio Stammati
Ambrogio Sparagna
Uno dei più importanti musicisti della musica popolare europea con all’attivo numerosi progetti realizzati in collaborazione con prestigiose istituzioni, concertistiche e non, nazionali ed internazionali e con artisti italiani e solisti da tutto il mondo.
Allievo di Diego Carpitella con cui realizza numerose campagne di rilevamento sulle tradizioni musicali dell’Italia centrale e meridionale.
Nel 1976 dà vita alla prima scuola di musica popolare in Italia e fonda nel 1984 la “Bosio Big Band”, un originale ensemble di organetti con il quale realizza numerose produzioni discografiche e di teatromusica.
Dal 2004 al 2006 è Maestro concertatore del Festival La Notte della Taranta dirigendo una grande orchestra di 60 elementi composta da strumenti popolari e realizzando molti concerti, dalla Puglia alla Cina.
Dal 2007 è fondatore e direttore dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, un grande gruppo strumentale stabile che raccoglie tanti interpreti provenienti da tutte le regioni della Penisola, allo scopo di promuovere e valorizzare il repertorio della musica popolare italiana.