Philip lo conosciamo da un po’ di anni, grazie a diverse collaborazioni. Ricordo che la prima volta che l’ho incontrato, ho sentito un’onda di pura vitalità, un artista a 360 grandi, una grande Maestro, con uno sguardo rivolto sempre al futuro, a nuovi progetti e collaborazioni. Ma soprattutto condividiamo con lui una visione dell’Arte e del ruolo che essa ha nella costruzione di esseri umani migliori.
Decido di sentirlo, e con un marcato accento americano, segno delle sue origini ma anche di una forte contaminazione, mi racconta la sua storia e la sua visione.
Un americano in Italia, come mai? Quando hai scelto di restare nel nostro Paese e creare qui la tua Casa Artistica? Raccontaci un po’ i tuoi inizi?
La storia è un po’ lunga, ha inizio negli anni Ottanta, ma provo a raccontarvi i punti salienti. Sono arrivato in Italia (a Torino) perché ho conosciuto una torinese nella scuola di Jacques Lecoq e quando ho finito l’Accademia, a Parigi, non volevo rientrare negli Stati Uniti. Il mio permesso di soggiorno era però scaduto e io volevo cercare, in un modo o nell’altro, di rimanere in Europa. Proprio in quel periodo è capitato che Franco Cardellino aveva litigato con due dei suoi collaboratori che frequentavano la scuola di Lecoq con noi e cercava altre due persone che potessero lavorare con lui; quindi io e il mio collega inglese Rupert Raisen abbiamo deciso di scendere a Torino nel 1984 e iniziare a lavorare con Franco nella sua compagnia e scuola di teatro.
E quindi mi sono ritrovato qui, anche se continuavo a pensare che prima o poi sarei tornato in Francia. Ma, come spesso accade, le cose sono andate diversamente. Nel 1986 io e Rupert abbiamo fondato una Compagnia con altre due persone, un italiano e un americano, per creare spettacoli con la nostra poetica. Fino al 1992 abbiamo girando in tutta Italia e in Europa con la nostra Arte.
Poi, nel 1992 ho deciso di lasciare la Compagnia per dedicarmi all’insegnamento, e ho iniziato a girare l’Europa, insegnando in tantissime scuole e compagnie, facendo seminari, laboratori e workshop. Da questa esperienza ho iniziato a diffondere in Italia il Teatro Fisico, che prima non esisteva nel nostro Paese, per questo ho fondato l’Atelier Teatro Fisico a Torino nel 1995, per sviluppare un’idea alternativa di teatro.
All’inizio Atelier Teatro Fisico era una specie di laboratorio, non una vera e propria scuola, però piano piano è cresciuto ed è diventano quello che è oggi: un’Accademia.
Ma non era la mia idea iniziale; certo prima di aprirlo avevo pensato di creare un centro culturale diverso da tutti quelli che c’erano in Italia, ma anche in Europa, era una delle prime del suo genere.
Io volevo usare la pedagogia lecoquiana come base per strutturare l’attore e per tutte le altre arti performative, il tutto in un programma di studio intensivo.
Inizialmente, come detto, il lavoro non era intensivo, era più un laboratorio, ma poi vedendo le esigenze delle persone che frequentavano lo spazio, è diventano intensivo e si sperimentano le diverse arti. È stato un percorso di ascolto e di crescita che piano piano nel tempo ha portato Atelier Teatro Fisico ad essere quello che è oggi.
Tu incarni molte anime di questo lavoro: attore, regista, autore, insegnante, registra esterno…che cosa le accomuna in te?
Premesso che per me il Teatro è l’Arte di riprodurre l’esperienza umana e condividere con gli altri questa stessa esperienza, la nostra percezione e il nostro vissuto rispetto a questo. Per questo io credo che quando noi pensiamo a cosa sia il Teatro, rispondo che è ognuno di questi ruoli, nella pratica è quello che noi facciamo nella vita di tutti i giorni, in modo e nell’altro.
Se io voglio definirmi artista di Teatro, e non solo attore, il teatro è in sé tutte queste facce: interpretazione, produzione, messa in scena, regia. Io vorrei partecipare a tutte le dinamiche dell’arte e ognuna di questa rappresenta la nostra vita. Per me vivere è avere in comune tutti questi elementi e li metto in scena nella mia vita, ed è questo che mi piace dell’Arte teatrale.
Uno può scegliere di specializzarsi in uno o nell’altro ruolo, ma l’insegnante è colui che deve cercare di incorporare e vivere tutti questi ruoli.
Hai una scuola a Torino (n.d.r. Atelier Teatro Fisico) dal quale escono moltissimi artisti che diventano professionisti del panorama teatrale italiano. Qual è la base del tuo insegnamento?
La risposta sarà molto concisa: per me l’Arte nella sua sostanza è prima di tutto un fenomeno fisico, uno scambio, una comunicazione attraverso i movimenti e i gesti del corpo.
Il Teatro è l’amore per l’esistenza, significa avere consapevolezza di sé e volerla condividere nella pratica, attraverso il corpo, con gli altri, per non sentirsi soli.
Quando ognuno di noi ha la possibilità di condividere un’esperienza teatrale e umana di questo genere, apprezziamo e capiamo meglio cosa succede a noi, nel nostro profondo è perché.
Questa è la forza del Teatro.
Quali progetti per il futuro hai nel cassetto?
Sul nostro sito (n.d.r. https://www.teatrofisico.com ) c’è una sezione dedicata al nostro nuovo progetto europeo COUR’AGE, un progetto di collaborazione con altri enti culturali e scuole in Europa. Le città coinvolte sono, oltre a Torino, Bruxelles, Hannover, Vienna e Salonicco.
Il progetto, che è iniziato da qualche mese e si concluderà a novembre, prevede la collaborazione tra soggetti culturali per fare scambio in stile Erasmus tra insegnanti, studenti e artisti, con l’obiettivo di creare una rete europea. Ci stiamo organizzando aspettando che tutti loro vengano a Torino per l’incontro in Italia, per fare laboratori e far incontrare i loro insegnanti con i nostri allievi e viceversa, in un progetto di scambio culturale, una grande festa.
L’altro progetto che stiamo cercando di portare avanti lo trovo molto interessante: i nostri allievi che devono creare uno spettacolo, lo realizzeranno sulla biografia di alcuni tra i più importanti drammaturghi e attori, con l’obiettivo di diffondere anche alle scuole e alle nuove generazioni l’Arte del Teatro, attraverso alcuni tra i suoi più importanti esponenti.
L’ultimo obiettivo, forse utopico, è quello di riuscire a vendere gli spettacoli senza le problematiche legate allo Stato e al Ministero, del finanziamento pubblico, e riuscire a vivere con quello che sappiamo fare: il Teatro.
Lunga vita al Teatro allora, e ai grandi sognatori, che portano avanti l’Arte più antica, attraverso la loro vita, le loro forze, il loro coraggio!
A cura di Francesca Fabbrini, Filodirame.