Incontriamo Antonio Catalano, 71 anni compiuti, di cui 50 dedicati al teatro: attore, scultore, poeta, imbianchino, astronauta, uomo di pensiero, nel senso che ci da molti pensieri. Gli chiediamo di raccontarci il suo percorso.
Nel prossimo mese di Maggio festeggerò i miei 50 anni di teatro. Ho cominciato questa straordinaria avventura nel 1970, con il teatro di strada, facevo il mimo, ero già in Piemonte, dove ero arrivato da Potenza, in Basilicata, già dal 1962. Mio padre faceva il panettiere e mia madre la lavandaia. Allora lavoravo a cappello, mi piaceva. Poi si è formata la compagnia del Magopovero, ci occupavamo di teatro sociale, nei nostri spettacoli affrontavamo solo temi di attualità, volevamo dare dei messaggi: il Vietnam, la salute in fabbrica, l’aborto, il manicomio, pensavamo che attraverso il teatro lo spettatore potesse e dovesse prendere coscienza, eravamo un agitprop. Il nostro teatro si ispirava all’esperienza del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina e soprattutto al Bread and Puppets di Shumann. Poi questo periodo si è esaurito aprendo di conseguenza una nuova fase, questa volta all’insegna della ricerca poetica, non volevamo più dare messaggi ma solo fare poesia, aiutare lo spettatore ad avere uno sguardo poetico sul mondo, convinti che se ognuno di noi avesse sviluppato la sensibilità per guardare il mondo con occhi diversi, anche questo ne sarebbe risultato migliore. Quello che volevamo dire era che prima di ogni altra cosa dovevamo trasformare noi stessi. Eravamo adesso molto attenti allo stile più che al messaggio, partivamo dalla nostra piccola provincia per allargare lo sguardo al pianeta e in questo percorso non potevamo non coinvolgere Paolo Conte, un musicista della nostra città che era ugualmente e poeticamente legato alla territorialità.
Il gruppo Magopovero ha fatto spettacoli per trent’anni praticamente in tutta Italia e dopo questo lungo periodo abbiamo sentito il bisogno di prendere strade diverse, ognuno di noi: Luciano, Maurizio, aveva desideri diversi e parlava anche con lingue diverse, era quindi tempo che le nostre strade si fossero divise. E’ qui che inizia l’esperienza di “Casa degli Alfieri”, non abbiamo creato altre compagnie di lavoro ma preso una casa comune, grande, con diversi appartamenti, in uno di questi vivo tutt’ora con la mia famiglia. Avevamo, e abbiamo ancora, una foresteria per ospitare, una sala per fare teatro, un ufficio, un’economia comune. Una sorta di separati in casa che si vogliono bene, dove ciascuno era libero di sviluppare i sentieri che riteneva più opportuni. Non eravamo più obbligati a continuare a lavorare insieme, il gruppo è una bella cosa, spesso moltiplica le energie ma alla lunga rischia di bloccare lo sviluppo artistico dei singoli.
“Casa degli Alfieri” è ancora lì, Luciano Nattino purtroppo non c’è più, lui si occupava di teatralità popolare. C’è Lorenza Zambon che ha un rapporto profondo con il giardino, Maurizio Agostinetto che sussurra alla fotografia ed io che mi sono perso dentro ad Universi Sensibili.
Personalmente credo di avere una spiccata patologia per la curiosità: mi occupo di scrittura, di scultura, scenografia, astronomia, panetteria ecc ecc. Sento addosso l’eredità degli anni ’70, quando dovevamo per forza saper fare tante cose: eravamo autisti, facchini, scenografi, datori luci, la nostra è stata un’esperienza molto artigianale, nel senso più nobile del termine.
Il mio nuovo percorso è partito dalla partecipazione alla Biennale di Venezia, in quel contesto ho cominciato a sostituire alla parola spettacolo quella di incontro, così come l’aveva favoleggiata Grotowsky. Volevo che chi veniva a vedere i miei lavori facesse un’esperienza, entrando negli Armadi Sensibili, venendo a contatto con l’Archeologia Immaginaria e tutte quelle cose di cui man mano mi sono circondato ed arricchito. Potete trovarle sul sito di magopovero o su universi sensibili.
Mi sono occupato molto anche di teatro per bambini, sin dagli anni in cui si concepiva lo spettacolo come uno strumento di pedagogia attiva, poi ho pensato che il teatro invece dovesse essere più un’esperienza da vivere e che i bambini non fossero solo spettatori ma persone che potevano modificare il concetto stesso di teatro. Non volevo più essere compiacente nei confronti dei bambini, ricordo che nel “Moby Dick” inserimmo il concetto di tragedia e da lì in avanti abbiamo sperimentato tantissimo. Oggi continuo a salire sul palco quando necessita, lo faccio con molta leggerezza, tengo anche laboratori, lavoro molto all’estero, sono stato tre anni in Portogallo, poi in Spagna, ho incrociato il Living Theatre, Leo De Berardinis, tutte esperienze che mi hanno fatto crescere.
Ultimamente cerco di lavorare dove c’è Anima, quando percepisco che questa ci possa stare mi fermo, è un grande lusso che mi concedo. Credo ad un certo punto di aver dato le dimissioni dal Teatro, all’inizio è stato faticoso poi mi sono trovato bene, salire sul palco quando se ne sente la necessità è un grande privilegio. La verità, forse, è che non ho ancora deciso cosa fare da grande: pittore, scultore, raccontatore di storie, sono ancora un adolescente.
Cosa pensi dello streaming e del grande dibattito che c’è e c’è stato intorno a questo?
Non ho problemi, sono cosciente che la modalità on line non è come dal vivo e questo non mi preoccupa più di tanto. Se uno è un poeta, non lo è solo dal vivo o in alcune ore della giornata, lo è sempre, è il suo modo di guardare il mondo, quindi lo è anche nella modalità on line. Ogni domenica sulla pagina fb di magopovero, alle ore 17,30, mi collego e faccio dei racconti, ho degli ospiti, so che non è teatro ma mi diverto e vado avanti. Ricordo di aver visto tanti spettacoli in televisione, e di averlo fatto con piacere, alcuni attori bucavano lo schermo, funzionava, secondo me c’è troppa pesantezza attorno allo streaming, è uno strumento, va bene utilizzarlo se uno sente che può far parte di una delle tante maniere che ha per comunicare con agli altri.
Ultimamente ho costruito giostre, luna park, armadi, alla fine di ogni intervento ringrazio il pubblico che è venuto a visitarli, siano essi bambini o adulti, ricordo loro che bisogna “chiudere gli occhi e cominciare a guardare”, li ringrazio per essere invecchiati un pochino stando insieme a me. Mi sono accorto strada facendo che non avevo più voglia di stare con persone che non mi piacevano, parlo anche della vita di tutti i giorni, mi piace prendere un caffè e chiacchierare a lungo con gli amici. Forse non è più solo il Teatro che mi interessa, anche se mi piace molto, credo che la vera opera d’arte sia amare una persona, realizzare qualcosa con lui o lei. L’attenzione e la cura verso l’altro è la vera opera d’arte, in fondo lo diceva anche Oscar Wilde: ”la vita è un’opera d’arte”. Quello che desidero è essere aperto al mondo, sembra un concetto semplice ma non lo è.
Antonio sei stato sempre prolifico nel tuo fare: libri, mostre, spettacoli. Dicci quali sono le prossime pubblicazioni.
Nel mese di Aprile uscirà “I Meravigliati”, per conto della casa editrice “Anima Mundi”, sempre per la stessa e sempre in Aprile ci saranno anche i “Discorsi Inutili”. A Maggio per conto di Erickson avremo “Il Manuale di Pedagogia Povera o della Meraviglia” e infine a Settembre “Il vangelo raccontato da un asino patentato” per Kellerman di Vittorio Veneto. Dimenticavo che a breve uscirà anche “10 volte Anna”, un libro che ho solo illustrato su un racconto di Irene Lorenzini per la casa editrice pugliese Secop.
Vi ricordiamo che è possibile avvicinarsi agli Universi di Antonio Catalano consultando i siti internet:
Intervista a cura di Marco Renzi