Intervista a Giorgio Pasotti – direttore del teatro Stabile d’Abruzzo
A cura di Eugenio Incarnati
DA DOVE VIENE LA SCINTILLA CHE GENERA UN NUOVO PROGETTO?
Prima di tutto, dico io, nel teatro bisogna pensare alle nuove generazioni, a cui va data priorità. E’ questo il senso della progettualità che ho in mente. Ogni progetto, poi, deve mantenere delle caratteristiche di qualità- non ci piove. Il testo , l’innovazione, gli attori coinvolti, il regista … tutto deve mantenere uno standard tale da mantenere il terreno fertile per generare interesse da parte del pubblico dei più giovani. È un senso di estrema responsabilità nei confronti delle generazioni a venire. Il teatro deve tornare ad essere un centro di aggregazione, di stimolo culturale, dialogo, di incontro ma anche di scontro; deve quindi andare oltre quella semplice forma di intrattenimento che ha avuto negli ultimi anni e deve deve tornare ad essere quello che è nato per essere: un luogo di cultura dove le persone che lo abitano possono incontrarsi e/o scontrarsi su vari temi.
PARLIAMO DEI TEATRANTI E DELLA RICERCA DI UNA VIA TELEMATICA. COME GIUDICA QUESTI TENTATIVI EMERSI CON FORZA DURANTE IL LOCKDOWN?
Ogni tentativo è buono. Credo, però, che per sua natura il teatro necessita della presenza fisica. Forse in questo c’è la sua grande fortuna. Durante il lock-down le piattaforme informatiche e televisive erano una forma perfetta. Adesso c’è una flessione, si vuol uscire, socializzare, vedere l’artista dal vivo. I tentativi tecnologici vanno bene ma bisogna mantenersi in un contesto di servizio all’opera, non sostituirla.
QUALI SONO GLI OSTACOLI AL LAVORO DELL’ARTISTA, OGGI?
Eh! Ce ne sono tantissimi. Questo argomento varrebbe una intervista intera. Diciamo che purtroppo l’arte è dipendente da un fattore economico che detta le regole. C’è sempre un compromesso economico a cui bisogna piegarsi. Gli spettacoli (o i film) hanno dei costi che devono rientrare. E’ ormai impensabile fare spettacoli senza far quadrare i conti. È una industria quella dello spettacolo con le sue regole – e vanno applicate.
DAL SUO OSSERVATORIO PRIVILEGIATO DI DIRETTORE DEL TEATRO STABILE D’ABRUZZO, RIESCE A SCORGERE FERMENTI?
Si, certo. C’è un grande fermento culturale. Questo è un dato positivo, e c’è voglia da parte del pubblico di riempire gli spazi vuoti. Dobbiamo sfruttare questo momento favorevole per coltivare il pubblico del futuro. Una volta finiti gli adorati abbonati (a cui io farei una statua e la porterei a domicilio), finiti quelli rischiamo di avere un vuoto. I giovani vanno coltivati perché sono loro il pubblico del futuro. C’è voglia di arte e di imparare: per questo stiamo organizzando le basi per formare una scuola delle arti dei mestieri dello spettacolo, una scuola che sia si riferita alla recitazione alla musica alla danza ma soprattutto a quei lavori dietro le quinte – trucco, costumi, scenografie, luci , amministrazione e produzione, mestieri che possono sfociare non soltanto in qualcosa di teatrale ma anche in tutto ciò che è performance live. Oggi è importante formare una classe dirigente e tecnica che sia aperta alle tecnologie innovative e che riesca ad immaginare il linguaggio de pubblico del futuro.
BISOGNA PROMUOVERE LA PRATICA TEATRALE PER TUTTI?
Si. Assolutamente. Il teatro è fortunatamente un luogo che non perderà mai il suo fascino, il fascino, per il pubblico, di respirare la stessa aria che respirano gli attori ed è una forma d’arte che si rinnova tutte le sere e non. È mai uguale a sé stessa e come la musica regala emozioni uniche e sempre diverse. Va promosso, difeso, tutelato e va programmato un futuro teatrale.