LE DIREZIONI DEL TEATRO PER L’INFANZIA. RIFLESSIONI DI CLAUDIO DI PALMA

CLAUDIO DI PALMA

Nato a Napoli nel 1961 è attore, autore e regista sia teatrale che lirico. E’ protagonista nel 1993 e 1994 degli spettacoli Delirio Marginale e Shakespea Re di Napoli di Ruggero Cappuccio premiati con i “Biglietti d’oro” Agis ’94 e ’95. Candidato egli stesso come attore rivelazione al Biglietto d’oro Agis ’96 con l’opera Mai più amore per sempre, rinnova la sua collaborazione con Cappuccio ne Il sorriso di San Giovanni, premio UBU ’98, e la prosegue intensa anche negli anni successivi protagonista in LigheaLe ultime sette parole di Caravaggio, Don Chisciotte, Paolo Borsellino essendo stato. Dalla fine degli anni ’90 intraprende un’ intensa attività di regista portando in scena decine di titoli fra cui ricordare La musica dei ciechi di Viviani, Ferito a morte da La Capria, Capitan Fracassa da Gautier, L’avaro di Moliere, Sogno di una notte di mezza estate da Shakespeare. Sempre sul finire dagli anni ’90 si fa promotore di una ricerca sui linguaggi della drammaturgia sportiva che culmina con l’ideazione e la sua direzione del Festival Sportopera, nato nel 2004 in corrispondenza con la direzione artistica assunta per la compagnia Vesuvioteatro, ed ancor oggi presente all’interno dei progetti speciali del Napoli Teatro Festival Italia. Dal 2013 stabilisce una continuativa collaborazione artistica con il Teatro Nazionale Stabile di Napoli per il quale va in scena ne Il giardino dei ciliegiOrestea e Macbeth con la regia di Luca De Fusco, Edipo a Colono per la regia Rimas Tuminas, La grande Magia regia Lluis Pasqual e per il quale interpreta, dirige e riadatta Letteratura e salti mortali da La Capria, Tre sorelle di Cechov, Casa di bambola di Ibsen, Il genio dell’abbandono di Wanda Marasco ( spettacolo premiato nel 2017 alle Maschere d’oro del teatro come migliore novità della stagione), Uscita di emergenza di Santanelli ed Il senso del dolore di De Giovanni. In ambito musicale cura per il Teatro alla Scala, con direzione musicale del Maestro Riccardo Muti e regia di Ruggero Cappuccio, i movimenti mimici e la recitazione dei protagonisti della Nina ossia la pazza per amore di Paisiello, del Falstaff di Verdi e de Il Ritorno di Don Calandrino di Cimarosa che debutta al Festival di Pentecoste di Salisburgo. Per il teatro San Carlo dirige Hansel e Gretel di Humperdink, Robinson di Carlo Boccadoro. Fra le altre sue regie liriche si ricordano almeno Mozart e Salieri di Rimskij-Korsakov e Jakyll di Sbordoni con il libretto di Camilla Ravera.  Dagli inizi degli anni ’90 conduce laboratori teatrali per giovani attori, attività che lo porterà prima a coordinare percorsi formativi per il Festival Città Spettcolo di Benevento poi quelli didattici per il Teatro Pubblico Campano ed ancora in tutta Italia a condurre stage tematici per le scuole di teatro. Dall’ ottobre 2018 coordina il percorso formativo della Scuola del teatro Nazionale di Napoli.

 

Incontriamo Claudio Di Palma durante una pausa del corso di alta formazione per allievi attori tenuto per conto del Teatro Pubblico campano presso il Teatro Comunale di Caserta.

 

D: – La prima domanda è diretta: dove sta andando il Teatro per l’Infanzia?

R: In realtà  devo ammettere che  non l’ho seguito più con la stessa costanza e attenzione di un tempo, vuoi per colpa,  vuoi per come la storia degli ultimi anni ha inciso su di me.  Ho come la sensazione, o forse sono i luoghi comuni, che il passato sia sempre migliore del presente, per cui negli anni 80 e 90 si è vissuto un periodo d’oro per la diffusione, l’organizzazione e la rilevanza del Teatro per l’Infanzia e  del Teatro Ragazzi.

Ora, invece,  mi sembra che questa organizzazione,  questa peculiarità,  questa definizione  per questo tipo di Teatro si stia perdendo proprio quando, dovrebbe esserci una “obbligatorietà all’illusorietà” , rammentando l’origine del termine “illudere” , e cioè “mettersi in gioco”. Esiste una generazione che non riesce più a mettersi in gioco, proprio nel momento in cui invece il gioco e la sua espansione nell’illusione dovrebbe essere non soltanto un’istanza estetico – creativa, ma quasi etico – civile.

Bisogna lavorare in modo non banale e superficiale alle problematiche di oggi, e se per qualcuno ricorrere alla creatività è la soluzione migliore, è chiaro che l’illusorietà che l’informa si riduce sempre all’istanze più immediate, meno ragionevoli da un lato e meno creative dall’altro. Quindi, rivolgendoci alla realtà che ci circonda ci accorgiamo che c’è un’assenza profonda di creatività, e non perché  il potenziale umano, soprattutto , dei giovani  e dei bambini sia venuto meno, sia meno proficuo e  prolifero, ma  che è necessario- e sta a noi- in qualche modo riorganizzare un intero sistema. Ad esempio, per esperienza personale, anche a scuola non viene più assegnato il famigerato ed utile tema di italiano, eventualmente, di narrativa.

D: Spesso non c’è più la traccia libera, anche per le superiori!

R: Certo! E, nel momento in cui la creatività e la fantasia deforme o informe dovrebbe trovare forma, dovrebbe trovare ragionevolezza, razionalità che la sostanzia, che l’ organizzi e che la formalizzi, ho la sensazione che stiamo andando verso luoghi che non conosco.

D: E a che cosa imputi questo vuoto?

R: È veramente difficile rispondere, per quel che mi riguarda, io vivo un rapporto molto complesso, molto complicato verso il mondo virtuale.

Sembra che questa virtualità imposta abbia sostituito il gioco, dove si aveva la necessità della fantasia dell’operatore, dell’animatore, del ragazzino e del bambino: ebbene adesso quella fantasia si è trasferita nella virtualità, tradotta ed imposta. C’è poi un ulteriore elemento peggiorativo: motivi di suggestione enorme, perché le cose che vengono proposte ai ragazzi, ad es.  i giochi virtuali e i giochi computerizzati, hanno una fascinazione straordinaria.

C’è un’assuefazione, un assecondamento , che probabilmente  fa in modo  che si trasferisca il potenziale fantastico del bambino in un luogo invece predefinito da un adulto. Questo può, in qualche modo, incidere sulla capacità creativa della fantasia, perché la fantasia di per se stessa non é nulla, potrebbe essere anche deformante, fuorviante ed essere un viatico alla perdizione. La creatività, quindi, mette quella potenziale perdizione a disposizione degli altri, la fa diventare comunicazione ipotetica, il fatto che non si riesca più a comunicare, mi sembra che possa derivare anche da questo, dal fatto che qualcuno si è impossessato del potenziale fantastico e che lo ha riconfermato a proprio vantaggio.

Ho conoscenza d’un gioco elettronico con dei personaggi di guerra, dove c’è la possibilità di acquistare delle “orpellature” che non servono a potenziare il personaggio, ma solo ad “equipaggiarlo”. Ovviamente per comprare questi accessori occorre spendere pochi centesimi reali; se si moltiplicano quei pochi centesimi per la quantità, per i milioni di giocatori, per comprare qualcosa che rimane nel pc quando tu non ci giochi più, e dunque che in qualche modo non ti appartiene più, le considerazioni sulla mercificazione della fantasia vengono da sé.  La mercificazione di questo riutilizzo della fantasia, dopo averla sottratta al naturale detentore, è dunque un vantaggio, anche di tipo economico e non soltanto psicologico ,di cui godono coloro che  hanno riconfermato la fantasia dei ragazzi.

 

D: E, rimanendo in tema, Tu oltre ad essere attore, regista sei anche un formatore e hai molti rapporti con le scuole, con gli insegnanti. Che ruolo possono avere e quanto è cambiato il loro ruolo ?  Abbiamo avuto docenti che hanno fatto la storia come Rodari e Lodi. Una volta l’insegnante era anche portatore di creatività di stimoli. Ora è cambiato qualcosa?

R: Tu fai dei riferimenti altissimi e nobilissimi, ma noi possiamo farne anche di più contenuti nel valore e nell’altezza e dire che fino a qualche anno fa, mi sembrava che il corpo docente avesse un interesse sostanziale, interiore oserei dire, alla frequentazione del Teatro.

D: E, questo sembra stia venendo meno adesso?

R: Interroghiamoci anche noi sul nostro ruolo. Siamo convinti che sia esclusivamente per una caduta di tensione di interesse verso il Teatro che all’ interno della scuola viene alimentato? E non sia anche perché la nostra capacità di proposta si é modificata e non è più altrettanto interessante?  Lo dico perché noi siamo una generazione, che ha dato con convinzione, con coraggio, con entusiasmo e dedizione, negli anni in cui anche la propria gioventù ti indirizzava con questi valori, con questa qualità e con tale quantità, in maniera come dire consapevole e voluta. Ci troviamo, ora, in un’altra età dove ovviamente possono resistere i valori formali della qualità, della quantità, dell’intenzione, dell’indirizzo e dell’interesse, però è certo che anche la nostra capacità in quel senso si è un po’ affievolita, chi c’é che ci ha sostituiti?

 

R: Hai anticipato la domanda successiva. Il termometro relativo all’età delle compagnie ( e di chi le anima) nel settore del teatro per l’infanzia, sia abbastanza “alta”. Le Compagnie di Teatro per l’Infanzia in Italia hanno tutte a capo delle generazioni, appunto,  che sono le nostre generazioni. Compagnie di giovani che si occupano di Teatro per l’ Infanzia ne conosco pochissime: non c’è ricambio. Giovani attori lo praticano come palestra, come primo step, ma vedo in loro una gioia diversa negli occhi quando devono fare il cosiddetto “serale”. Secondo te perché?

 

R: É cambiato molto anche il lavoro dell’attore, quindi questa è una ricaduta ulteriore. Noi abbiamo lavorato più di 40 anni fa, molte volte gratuitamente, ci siamo formati spendendo il denaro; il tempo pensando di non perderlo, che lo stavamo utilizzando, ma siamo stati costretti e siamo stati felici anche di tanti sacrifici fatti e questa capacità e questa disponibilità e questo indirizzo verso il sacrificio, funzionale alla crescita mi pare quasi sia totalmente perduto. L’idea che il sacrificio corrispondesse ad  una ipotesi di crescita  e di arricchimento  mi pare  non ci sia più. Allora è chiaro che c’è un perseguimento degli obbiettivi anche di natura pratica, con quella immediatezza che il sacrificio non lo prevede e che fa, naturalmente, allontanare da un Teatro così complicato, così complesso come quello del Teatro Ragazzi.

D: Quindi la ricerca di gratificazione immediate porta ad investire altrove.

R: Dico, poi, un’altra cosa poiché hai detto benevolmente che sono anche un formatore. Una Scuola di Teatro è così di fondamentale importanza da essere inutile: intendo dire o c’è una forma di credo integralista per cui si destina al Teatro il futuro, oppure è inutile, perché i ragazzi non hanno più  una fantasia regolata dalla grammatica del Teatro. La loro fantasia, in qualche modo, è alimentata giustamente da altre discipline della comunicazione e da altre discipline della creatività. Parlavamo prima dei ragazzi, ma é ovvio che ora vedere una cosa al pc oppure con i video o anche attraverso una tecnologia approssimativa ti permette di fare benissimo suggestionando in maniera molto più immediata di quanto non possa fare un Teatro che è un’arte mediata.

Noi si ricercava il modo di mettere sul palcoscenico un’idea… Ora invece si immagina come riprenderla, come fare un racconto video, e come si fa? Usi lo smartphone in maniera immediata e fai una storia. Dunque, di conseguenza, la fantasia dei giovani ha quella grammatica e per fare una Scuola di Teatro, di vitale importanza è rispondere ad un credo integralista. Cioè bisogna prendere la grammatica del fantastico degli allievi e convertirla, piegarla ad uno strumento mediato come il Teatro. Se i giovani non hanno questa intenzione e non hanno questo indirizzo, è bene che facciano altro.

Ripeto è cambiata la grammatica della fantasia, quindi qualcuno ne fa un uso differente, altri più produttivo ed immediato. A volte un “meme” in un paio di giorni,  riceve decine di migliaia di visualizzazioni e di like, cose che noi in una stagione di Teatro ce lo sogniamo.  Da una scuola teatrale quanti attori devono uscire? E, penso, che chi frequenta un corso di Teatro, un laboratorio di formazione, una scuola o simile, abbia come primo obbiettivo il cinema e, sussidiariamente, il cinema funzionale al teatro. É un sostegno ipotetico per accedere e per conoscere un’altra Arte.  Il Teatro è un elemento di passaggio.

D: Nonostante tutto questo Teatro non riusciamo ad ammazzarlo.

R: Dovremmo annotare questo perché comunque ti accorgi quando lo facciamo per i ragazzi, quando arriva una scolaresca immaginiamo che accada chissà che, e invece non succede nulla, sembra quasi che i ragazzi si “sintonizzino”, allora vuol dire che quel potenziale emotivo ed espressivo, quel potenziale interiore sta tutto lì sempre e comunque.  Quindi, con la complicità degli insegnanti, dovremmo riuscire a suscitare interesse ed attenzione nei ragazzi, sapendo che ora non il nemico, non l’avversario, ma il competitor è forte, ha motivi di suggestione, motivi di accalappiamento dell’attenzione e della fantasia molto marcati e di conseguenza bisognerebbe ricercare un opportuno linguaggio che sappia stare in qualche modo alla pari così con questo articolato tecnologico.

Il nostro motivo di esistenza di quando facciamo Scuola di Teatro, sia quando lavoriamo con i ragazzi sia come lavoriamo con i bambini, è probabilmente una cosa banale: essere seducenti, essere seduttivi, mediante un linguaggio accattivante per poter competere rispetto alle seduzioni e al fascino, che porta  indubbiamente l’altro sistema di comunicazione e di espressione.

Intervista a cura di Roberta Sandias