ALESSANDRO SALA – FOTO DI SCENA

Co-fondatore e membro di Cesura.
Nato a Milano nel 1981. Durante gli studi liceali presso l’Istituto d’Arte di Monza incontra il professor Massimo Troboldi, che lo introduce al mondo della fotografia. Nel 2006 inizia a collaborare con il fotografo Alex Majoli, con il quale sviluppa diversi importanti progetti espositivi, gettando le basi per la creazione di Cesuralab.
In Cesura, Alessandro si occupa del laboratorio di stampa fine-art e segue l’intero processo produttivo dei progetti espositivi.
Ha lavorato in Sudafrica, Brasile, São Tomé e Italia, concentrandosi su temi legati alle migrazioni.
Da circa 10 anni è fotografo di teatro e arti performative.

 

Ale facciamo finta che non ci conosciamo, che non so cosa fai, cosa hai fatto e quali sono le tue esperienze, tieni presente inoltre che Utopia è una associazione di Teatro a livello Nazionale.

In questa chiacchierata vorrei parlare del rapporto che ha la fotografia con il teatro, se ha influenza, se è importante e in che modo il teatro usa la fotografia.  Prima però spiegaci qual’è stata la tua esperienza nel mondo del teatro.

 Io sono un fotografo e una parte della mia attività è legata al teatro. Ho da sempre lavorato con i festival ed è questo il modo in cui mi sono approcciato al teatro.

Da dieci o dodici anni  lavoro a Fies, alla centrale Fies a Dro, in Trentino, in un festival di performing art, per 3 anni sono stato a Mirabilia, festival di teatro urbano e di strada a livello internazionale, poi Segni d’Infanzia a Mantova e La Citta dei Ragazzi a Vimercate, dove ho realizzato un’istallazione fotografica sui narratori italiani, negli ultimi due anni ho iniziato a collaborare con il Faraut Festival di Milano.

Il rapporto che c’è tra teatro, fotografia, video e tutto ciò che è immagine è estremamente connesso, perché, come tutte le arti che non sono riproducibili,  l’evento teatrale “non è un quadro che può essere trasportato e riprodotto in una mostra”  ma è un’opera del vivo e quindi ha bisogno di una documentazione dell’atto formativo.

in questo caso stai parlando di video o di foto?

 Tutte e due, in entrambi i casi la volontà di fare foto e video di uno spettacolo o di una perfomarmance deriva dalla necessità di voler fissare il lavoro fatto e quindi avere un’opera d’arte che per sua natura non è riproducibile se non dal vivo, in questo modo la documentazione fotografica può essere esposta come pure pubblicata su delle riviste in cui si parla di queste produzioni. La fotografia o il video a questo punto sono essenziali ai fini della riproducibilità dell’opera e soprattutto per la promozione della stessa. In molti casi, quando si riesce a lavorare bene sia con i festival che con le stesse compagnie, diventa un lavoro fatto in sintonia.  La compagnia ha bisogno delle immagini per la promozione, nello stesso tempo noi fotografi  se andiamo preparati in sala per fotografare la scena,  preparati nel senso che c’è stata prima una discussione con il regista, con gli attori o, ancora meglio, se abbiamo la possibilità di fare le foto in una recita aperta senza pubblico, allora il risultato sarà migliore.

 

Nell’esperienza di alcuni festival che hai fatto: Mirabilia per il teatro urbano e di strada, Segni d’Infanzia, teatro per i più piccoli, Dro teatro per gli adulti  e di ricerca, dove il lavoro della fotografia ti sembra sia stato più ottimizzato e valorizzata la stessa.

 Non so, verrebbe da dire a Dro perchè semplicemente ci lavoro da più anni e quindi c’è un rapporto diverso, in questo festival le immagini vengono utilizzate anche durante il corso dell’anno e raccontano quello che viene fatto all’interno della centrale elettrica di Fies diventata centro di produzione. A Segni d’Infanzia le immagini servono invece a documentare ciò che avviene quotidianamente, si raccontano non solo gli spettacoli ma tutto il backstage, il contesto generale, come si inserisce il festival nella città e il lavoro fotografico si esaurisce nel momento stesso dell’evento festival.

A Mirabilia, come a Segni d’infanzia, le foto servono quasi esclusivamente per documentare i festival stessi, mentre a Dro le immagini vengono realizzate certamente a fini di documentazione ma anche per uso delle compagnie, perché alcune di queste fanno parte della factory di Fies e quindi, trattandosi spesso di debutti e prime nazionali, hanno bisogno delle foto ai fini della promozione del lavoro.

In un volume che hai in casa c’è una dedica di Marta Cuscunà, l’attrice che abbiamo visto in televisione con Marco Paolini mentre utilizzava i suoi spettacoli di figura con i Corvi, lei per il suo libro ha utilizzato le tue foto.

 Si, è vero, con lei c’è un rapporto di lunga data, ci siamo conosciuti alla centrale Fies  non durante il festival, prima di questo, eravamo entrambi in residenza, io per fare un progetto fotografico con il gruppo di Cesura, la mia agenzia, lì ha conosciuto Andy e una sua foto è stata molto usata per promuovere lo spettacolo, lei ha fatto poi un racconto su una radio svizzera in cui parla di tutta la storia di Andy, c’è stato un legame molto forte anche perchè suo fratello è un giornalista di guerra, c’erano  molte connessioni

 

Se dovessi parlare a delle compagnie di teatro per ragazzi o anche per adulti, cosa gli consiglieresti dal punto di vista fotografico.

 In realtà mi è capitato poche volte di lavorare direttamente per una compagnia, più spesso fotografo i loro spettacoli all’interno dei vari festival, con Marta Cuscunà è successo, ma è un caso isolato, di andare a Milano e fotografarla anche fuori dal contesto dello spettacolo. La mia esperienza è fondamentalmente quella di lavorare con compagnie di teatro all’interno di contesti di festival che è molto diverso dall’essere il fotografo che segue la tournee.

Diventa quindi impossibile seguire tutte le compagnie.

 Certamente, quando però si fa una nuova produzione, prima del debutto, c’è sempre un momento in cui servono le immagini per i comunicati stampa, il web, i social ecc.

E’ giusto dare la stessa importanza a tutte le fasi della produzione di uno spettacolo:  scrittura, drammaturgia, regia, luci, lavoro con gli attori, la fotografia è un altro di questi momenti e va letta come parte integrante dello spettacolo, anche quando arriva al termine dello stesso. Quindi che il regista e gli attori parlino con il fotografo è molto importante, l’ideale sarebbe vedere una replica senza macchina fotografica, poi parlare, decidere cosa fotografare e soprattutto avere piena disponibilità a potersi muovere sul palco durante l’evento, possibilmente senza pubblico, questo è il modo migliore  per avere un prodotto che si differenzia dalle classiche foto di scena che siamo abituati a vedere.

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Nella tua esperienza di fotografo ci sono anche lavori al di fuori del teatro, come nella musica o nelle arti visive?

 Faccio progetti legati alle arti visive ma non di documentazione, sono miei progetti che poi finiscono in mostre e musei.

Faccio parte di Cesura che è un’agenzia che ho co-fondato 17 anni fa,  siamo un gruppo di fotografi che ha posto al centro della propria attività l’autorialità del progetto fotografico, sottolineando questa visione molto personale e senza badare troppo a quelle che sono le logiche di mercato. Negli anni siamo riusciti a indirizzare la committenza verso quello che stavamo facendo, all’inizio nessuno si interessava ai nostri progetti ma abbiamo tenuto la barra diritta e pian piano la situazione si è modificata. Adesso ci vengono espressamente richiesti progetti autoriali.

Uno degli ultimi che ho fatto è stata una collaborazione con l’orto botanico di Palermo, nato da un bando a cui ho partecipato del Ministero dei Beni Culturali che è stato poi approvato. Abbiamo fatto un viaggio tra otto specie botaniche siciliane, un fotografo e una giornalista audio, che ha poi prodotto un podcast,  insieme abbiamo raccontato un ipotetico viaggio di un genio dell’orto botanico che va ad incontrare le piante che, partendo dall’orto, si sono poi diffuse in giro per la Sicilia.

Le piante hanno avuto un ruolo primario, messe su un piedistallo al centro di una scena, illuminate in maniera artificiale, come se fossero attori, hanno raccontato la loro storia.

L’idea è arrivata dalla fotografia di scena, dal teatro.  Ho riprodotto quello che succede su un palcoscenico, sono partito dalla pianta nel suo contesto naturale, l’ho illuminata come se fosse su un palcoscenico, rendendola altro ed elevandola a protagonista della scena.

A cura di Roberto Sala