L’arte aiuta la cura?
Teatro – terapia e non: necessità di chiarezza.
Il teatro è di tutti, è per tutti e tutti dovrebbero praticarlo e diffondere la pratica teatrale che ha valore di per sé senza metterle goffamente addosso un camice da dottore. Ma come non notare che, negli ultimi decenni, l’idea di teatro-terapia ha suscitato crescente interesse? Insorge, allora, l’esigenza di chiarezza: quali sono i confini oltre i quali la pratica artistica diventa “terapia”? Sono ben tracciati o c’è il rischio di fare di tutta l’erba un fascio?
Per un “arte-terapista”, a differenza di altri terapisti più “normali”, non è richiesta, di fatto, nessuna certificazione, laurea o titolo specifico; è al massimo, consigliata (da alcuni protocolli europei), una formazione con organi accreditati. I terapisti artistico-espressivi, dunque, sono (forse non da soli) in un limbo di tolleranza che, da un lato, facilita, per alcuni, l’ottenimento di contratti (facilitando anche il burocrate low- cost) ma dall’altro sminuisce una pratica che può dare risultati rilevanti.

In questa situazione ibrida, fare chiarezza sul valore terapeutico della pratica artistica, è una battaglia difficile da combattere: la parola “terapia” presupporrebbe (dico io), la possibilità di misurazione, del supposto valore curativo, da parte di personale medico; invece, mi pare, v’è una pletora di esperienze teatrali in cui l’auspicato valore terapeutico sia dato per assodato senza farsi troppe domande. Arte ? Abracadabra …e diventa terapia.
Schematicamente, credo si possa affermare che la pratica teatrale ha valore terapeutico se la finalità principale, perseguita in un contesto protetto, non è orientata ad ottenere un risultato estetico ma al benessere (psico-fisico, emotivo, relazionale…). Ma chi fa e certifica le scelte (di metodo, di percorso)? Chi misura i risultati? Teatro-terapia, si, ma quale? Quale teatro? O …qualunque?

L’ambiguità (dico io) permane: i confini tra i due ambiti artistico e terapeutico spesso evaporano, con una non chiara distinzione tra laboratori espressivi, teatro sociale… e teatro-terapia vera e propria. Nei laboratori ludico-espressivi, si corre, ad esempio, il rischio di “psicologizzare” senza avere competenze, lanciandosi su tematiche profonde senza adeguata preparazione; così come, in contesti terapeutici riconosciuti, concentrarsi sul gioco o sulla creatività, potrebbe, credo, far perdere la profondità terapeutica.
Nella confusione, qualcosa si può fare: si può dare per assodato, che teatro-terapia non è “ psicoterapia con il teatro” ma un percorso di accompagnamento e crescita attraverso il linguaggio simbolico e corporeo.
a cura di Eugenio Incarnati

