Dal 14 al 30 settembre TEATRI SENZA FRONTIERE tornerà in Ucraina, dove era già stato nel 2023, terrà spettacoli in scuole, centri di accoglienza, piazze, per bambini e adulti, per dire che questa guerra, come tutte le guerre, è un aberrazione, per stare vicino ad una popolazione che è stata brutalmente invasa, che ha subito morte e distruzione, che resiste, che va sostenuta, con tutti i mezzi, perchè la prepotenza non deve vincere, mai.
Quello che segue è uno scritto di Marco Renzi sul progetto generale di Teatri Senza Frontiere che da sedici anni porta luce negli angoli più bui del pianeta, con lo scopo di illuminarli. Le immagini si riferiscono al primo progetto del 2023 e sono di Ruggero Ratti.
“Teatri Senza Frontiere” è un sogno, uno di quelli che un giorno, come per effetto di un potente incantesimo, diventa realtà, esattamente come nelle favole.
Correva l’anno 2009 ed ero già da venti anni direttore artistico di un festival internazionale del teatro per ragazzi nella parte sud della Regione Marche, quando la terra tremò violentemente nella vicina Regione Abruzzo, colpendo pesantemente L’Aquila e tutto il suo territorio. La notizia sconvolse l’Italia intera, scatenando una gara di solidarietà per stare vicini a quelle popolazioni. Non saprei dire con esattezza in quale momento ma ad un certo punto decisi che lo spettacolo inaugurale del festival si sarebbe tenuto non solo nella città che lo ospitava ma anche e contemporaneamente in una tendopoli del capoluogo abruzzese e così avvenne. Non fu solo un gesto di grande significato, ma qualcosa capace di dar corso a nuovi pensieri, toccando corde che evidentemente erano già pronte a vibrare e a far sentire la loro voce. Fu così che il concetto di internazionalità di un festival venne riletto anche al contrario, come si fa con la scrittura araba, non più solo compagnie straniere che portano il loro spettacolo in una kermesse italiana ma anche la stessa che si fa carico di promuovere momenti di incontro e di spettacolo altrove. Detta così sembra una cosa banale, una sorta di uovo di colombo. In realtà, questo semplice concepire l’internazionalità del festival anche in direzione opposta cambiò le carte in tavola, portando alla nascita di un progetto che all’inizio si chiamò “I Teatri nel Mondo” , diventando poi “Teatri Senza Frontiere”.
Tutto è partito così, con tanto entusiasmo e poche certezze: con relazioni da intrecciare, persone da trovare, progetti da scrivere, spettacoli da concepire che fossero comprensibili a chiunque e ovunque, interminabili voli aerei, vaccinazioni, incontri, fiumi di mail e soprattutto amici e risorse da trovare. Un carico di problematiche più grande di me, che mi sono messo in spalla con la speranza che strada facendo molte cose si sarebbero alleggerite, senza considerare che al contempo ne sarebbero sopraggiunte di nuove, a garanzia di un peso sempre costante e presente, ma anche di un gruppo che prendeva forma e con cui era possibile condividere la strada.
Grazie alla nostra determinazione abbiamo incontrato molti sostenitori che ci hanno permesso, anno dopo anno, di affrontare le sfide che ci eravamo posti, quelle di andare ad accendere una luce in zone del mondo dove il buio sembrava dovesse governare incontrastato. Oggi che abbiamo spento la quindicesima candelina del progetto e percorso i primissimi passi, sento di dover ringraziare tutti coloro che, a vario titolo, hanno sostenuto e partecipato a “Teatri Senza Frontiere”. Grazie a questo progetto ho avuto la possibilità di toccare con mano situazioni che conoscevo solo attraverso immagini fotografiche o documentari trasmessi dalla televisione e che nella realtà si sono lasciati leggere in tutta la loro forza. Ho avuto il privilegio di potermi affacciare su finestre chiuse ai grandi itinerari turistici, potendo incontrare e parlare con gente di cui non avrei neppure immaginato l’esistenza, e questo squarcio ha portato luce in una stanza importante, a volte dimenticata, e che dovrebbe invece essere sottoposta a continua illuminazione, quella della cuore.
In questi anni iniziali non ho fatto altro che lanciare segnali ai miei colleghi, a tutti coloro che lavorano in Italia nel campo del teatro per le nuove generazioni, mi sono rivolto loro pregandoli di staccare lo sguardo dalle nostre incombenze quotidiane: fatte di bandi, rendiconti infiniti, incomprensibili domande ministeriali, fatture e bilanci che non quadrano mai, perché il teatro è l’ultima ruota del carro dello spettacolo e il teatro per i bambini è a sua volta l’ultima ruota del carro del teatro. Per questa semplice ragione, non avremo mai soldi sufficienti per allestire i nostri spettacoli e tutto ciò che serve per farli vivere, è una lotta impari e cruenta, tanto vale staccare la testa dalle scrivanie e lasciare che lo sguardo voli alto e lontano, alla ricerca delle ragioni che muovono un mestiere speciale come quello che facciamo, per riscoprirle, motivarle, renderle ancora più forti, a dispetto dei soldi e dei bandi.
“Teatri Senza Frontiere” mi ha regalato tutto questo ed è tantissimo, una montagna di momenti di riflessione, derivati da una vista più ampia e più vera sul mondo e sulle cose che ci circondano.
Da quindici anni incontriamo gli ultimi della terra, vittime di un pianeta storto che sembra non volersi più raddrizzare, testimoni di un’umanità che ha bisogno di riscattarsi per dimostrare di saper fare l’unica cosa sensata e possibile: vivere in pace, rispettare gli altri, godere di questo splendido e piccolo pianeta dove siamo ospiti per un brevissimo lasso di tempo. Il concetto di riscatto è importante, anzi fondamentale, prima di tutto perché porta con sé la consapevolezza dell’errore, cosa che non va mai data per scontata. Mentre scrivo (anno 2025), le cronache raccontano di ben altro clima nel mondo, dove di errori non si parla affatto, ciascuno ha le sue ragioni e queste sono sempre assolute e totali. Ci sarebbe invece tanto bisogno di altro: di un oceano di esami di coscienza, di umiltà, di una classe dirigente che dica un giorno una cosa e quello successivo la stessa, c’è urgenza di seminare massicciamente il pianeta con azioni che abbiano come fine il rispetto, la convivenza, l’affetto, l’essere fratelli nel senso profondo della parola, marinai nella stessa barca, in balìa dello stesso mare. Se solo penso a come in questi mesi si senta parlare di aumento della spesa per le armi, allora mi convinco che di “Teatri Senza Frontiere” ne occorrerebbero mille, diecimila, centomila, forse di più, così tanti da essere sparati in ogni angolo del pianeta, fino a ripensare il concetto stesso di frontiera, per riposizionarlo dove deve stare: un semplice segno che distingue popoli, colori, musiche, lingue, culture e niente di più, nessuna frontiera può giustificare il sentirsi superiori o i migliori della classe, nessuna.
Abbiamo portato il messaggio di pace, di fratellanza tra i popoli e di diritto alla convivenza, ovunque ci sia stato possibile, perché questo messaggio, nella sua immediatezza, è purtroppo ancora tremendamente lontano da venire e invece fondamentale per il futuro e la dignità di tutto il genere umano. Il pensiero che anima e sostiene TEATRI SENZA FRONTIERE è molto semplice e vuole ricordarci che ogni bambino di questo mondo, qualunque sia la latitudine a cui vive, la religione e la fede politica in cui credono lui e la sua famiglia, ha diritto al gioco, all’affetto, all’istruzione e a quella cosa meravigliosa che chiamiamo infanzia, per questo siamo andati e per questo continueremo a farlo. Abbiamo fatto vivere a tanti bambini e alle loro famiglie un momento molto speciale, abbiamo seminato nell’aria e nel millennio, qualcuno ha persino potuto sentire la forza che il teatro porta ancora con sé e che nessuno potrà mai cancellare.
Alla fine di ogni progetto c’è sempre un aereo che ci riporta a casa, che vola sopra i campi, i ponti, le foreste e i tanti pensieri che ogni volta riempiono i nostri bagagli, non ci sono risposte facili, la realtà è complessa, il mondo lo è ancor di più, chi non si pone domande si è fermato. Avanti allora, sottobraccio alla nostra vita, cercando di lasciare, ovunque sia possibile, segni della presenza di un’umanità che ostinatamente vuole ancora rimanere tale.
Marco Renzi