CONTEMPORANEO FUTURO: intervista al direttore artistico Fabrizio Pallara e report degli spettacoli.

CONTEMPORANEO FUTURO: intervista al direttore artistico Fabrizio Pallara e report degli spettacoli.

a cura di GABRIELA PRATICO’ e GIGI PALLA

 

Dal 9 al 13 aprile, diffuso tra il Teatro Torlonia e il Teatro India, si è svolto il Festival Contemporaneo Futuro. Abbiamo preliminarmente incontrato il direttore artistico Fabrizio Pallara la cui intervista proponiamo quindi ex post.

Contemporaneo Futuro è alla sua quinta edizione: ci racconti come nasce questo Festival?

Nasce dall’esigenza di creare un festival/vetrina rivolto alle nuove generazioni, selezionando

spettacoli il più possibile trasversali, capaci di affrontare la complessità del contemporaneo

attraverso temi e forme, senza ricorrere a facili semplificazioni. Inoltre, abbiamo voluto costruire

un festival che rispettasse il più possibile le esigenze degli artisti, garantendo spazi di montaggio

adeguati, un rimborso congruo e una programmazione non troppo fitta, lasciando spazio alla

riflessione e creando momenti di confronto tra operatori e artisti.

 

Veniamo all’edizione attuale: quale linea ha guidato le tue scelte nella composizione del

cartellone?

Cerco spettacoli in profondo dialogo con il presente, capaci di rivolgersi sia ai bambini e alle

bambine sia agli adulti, trattando temi significativi del contemporaneo.

 

“Contemporaneo Futuro” nel titolo appare anche una dichiarazione d’intenti:

come si realizzano, nella tua visione, il contemporaneo e il futuro negli spettacoli dedicati

all’infanzia e alla gioventù?

Sento forte l’esigenza di condividere lo sforzo di osservare il presente con occhi capaci di volgere al passato e, al tempo stesso, di immaginare il futuro. Negli spettacoli che ospito al festival si respira il segno del contemporaneo, ma con una profonda consapevolezza del passato. I bambini e le bambine cambiano costantemente negli anni, così come il mondo intorno a loro, e di conseguenza anche loro stessi sono diversi. Tuttavia, mantengono sempre qualcosa che li lega alla condizione ancestrale dell’essere bambini. Il festival è attraversato da artisti che sanno parlare al bambino di oggi e a quello che ognuno di noi conserva dentro di sé, riuscendo così a coinvolgere tutti.

 

Collegandoci alla domanda precedente, che spazio trovano i linguaggi più tradizionali sia

nel Festival che nel tuo percorso artistico?

Sono le radici da cui spiccare il volo.

 

Roma può essere una città dispersiva, anche dal punto di vista dell’offerta teatrale: come

risponde il pubblico alle diverse proposte del Festival?

Lo sta scoprendo nel corso degli anni e, come spesso accade in questa città, quando trovi qualcosa che ti piace e in cui ti riconosci, la fai diventare casa.

 

La collaborazione con il Teatro di Roma mostra anche l’interesse di soggetti istituzionali

verso questo settore: cosa si potrebbe fare di più per il teatro dedicato all’infanzia e alla

gioventù?

Bisognerebbe dare al teatro per le nuove generazioni la dignità che merita: uniformando cachet e

budget di produzione a quelli del teatro per adulti, dandogli maggiore spazio nelle programmazioni, attivando percorsi di formazione specifici nelle accademie nazionali, sostenendo la drammaturgia per le nuove generazioni attraverso premi e incentivi alla produzione. Inoltre, sarebbe fondamentale ricostruire un rapporto solido tra scuole e teatri e creare spazi adeguati ad accogliere il pubblico delle famiglie, dilatando i tempi del prima e del dopo spettacolo con luoghi dedicati all’incontro, al gioco, al dialogo e alla convivialità. La maggior parte di queste pratiche sono già consolidate in molti paesi europei.

 

Dando per scontata la risposta “tutti”, quale spettacolo ritieni “il più imperdibile” e

perché?

È davvero difficile indicare lo “spettacolo imperdibile”, anche perché non riesco a vedere tutti gli

spettacoli: alcuni vengono selezionati sulla carta e nascono proprio all’interno del festival. Al di là

di questo, credo sia importante assistere a più di uno spettacolo, per immergersi in un progetto

artistico piuttosto che limitarsi a consumare un singolo prodotto. Guardate il programma, lasciatevi ispirare, unite i puntini e costruite il vostro viaggio.

 

 GLI SPETTACOLI DEL FESTIVAL

Dodici spettacoli per cinque giorni di programmazione, due location (il Teatro Torlonia e il Teatro India), due incontri di approfondimento sulla drammaturgia e sulla scrittura indirizzate alle nuove generazioni, una nutrita presenza di operatori del settore, una presenza di spettatori bambini e ragazzi per contro un po’ altalenante, un’organizzazione accorta e capillare e una selezione degli spettacoli curata, di livello ed esteticamente orientata: è stato questo il Festival Contemporaneo Futuro. Lo abbiamo seguito quasi interamente* e qui di seguito, non essendo dei critici, riportiamo non tanto le nostre impressioni, quanto un racconto di ciò che abbiamo visto e vissuto, con pochissimi aggettivi e qualche (improbabile) tentativo di interpretazione.

 

HANSEL E GRETEL produzione Campsirago Residenza

Spettacolo di apertura del festival, si presenta come una sorta di happening, un evento in cui i giovani spettatori vengono direttamente coinvolti, divenendo di fatto essi stessi gli Hansel e Gretel di turno, impegnati in un percorso che tocca i vari luoghi dalla storia (il bosco, la casa della strega), attraverso un itinerario che si snoda tra i siti interni ed esterni al teatro. Questa identificazione nei personaggi si realizza anche grazie all’uso di audio-cuffie individuali che diffondono le parole dei due fratelli. L’itinerario si svolge sotto la guida di un personaggio aviforme che funge da narratore e che si esprime in rima. Accanto a lei, altri due attori interpretano i genitori di Hansel e Gretel così come la strega e il suo aiutante. Forti suggestioni all’interno di questo itinerario, che ha consentito anche di conoscere luoghi non battuti del bellissimo Teatro Torlonia.

 

 

NO produzione Annalisa Limardi

Lo spettacolo mette in scena la difficoltà di definirsi di una giovane.

In uno spazio vuoto, la performer Annalisa Limardi, che dello spettacolo è anche autrice e regista, si rapporta costantemente con un microfono che vuole rappresentare tutto ciò che è esterno a lei stessa e che la costringe con mille stimoli di ogni tipo (ordini, inviti, consigli, richieste, tutti diffusi in voce off), di fronte ai quali ella reagisce con un linguaggio più fisico che verbale, mostrando di volta in volta sentimenti di oppressione, fastidio, sofferenza, frustrazione. Almeno fino al monologo finale in cui si realizza una sorta di presa di coscienza della proprio individualità e collocazione nel mondo.

 

 

PETITES HISTOIRES SANS PAROLE SPQRT produzione Cie L’Alinéa / CHARLIE GORDON produzione Teatro Medico Ipnotico e Teatro Caverna.

Il teatro di figura è stato rappresentato da due spettacoli parimenti convincenti ma completamente diversi per linguaggio. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un trittico di storie (Rimbalzi, Il pugno e Recto verso) legate dal filo rosso della tematica sportiva: gli allenamenti per diventare un campione, un incontro di boxe tra due guantoni, una sessione di sport acquatici, che si apprezza anche da una prospettiva ribaltata (da cui il titolo) attraverso la rotazione della baracca. I burattini, animati con estrema perizia da Brice Coupey, agiscono sulle musiche originali di Jean-Luc Ponthieux creando continuamente effetti di irresistibile comicità.

Liberamente ispirato al racconto di Daniel Keyes Fiori per Algernoon, Charlie Gordon di Patrizio Dall’Argine ne offre una versione per il teatro dei burattini, che si fa apprezzare per la coerente linearità di un racconto che coinvolge per tema e sviluppo. Patrizio Dall’Argine è abile nel dare vita ai personaggi, anche attraverso una scelta interpretativa realistica, mai sopra le righe.

Interessante è anche lo svilupparsi dell’azione in tre spazi diversi donando maggior dinamismo ad una storia che affronta il tema di un futuro distopico in cui si realizzano esperimenti scientifici per implementare l’intelligenza, sviluppando così una riflessione sull’attuale tema dei pericoli cui può portare un uso non etico del progresso tecnologico, in campi come quello dell’intelligenza artificiale.

 

 

PO e SIA produzione meraki.teatro – Simona Gambaro

Su un tappeto quadrato bianco, davanti ad un fondalino altrettanto bianco, Po (Mariano Nieddu) e Sia (Simona Gambaro) ripercorrono il loro casuale incontro, per cercare di diventare una cosa sola, nel tempo loro concesso, che intercorre tra la nevicata iniziale e quella finale. Po fa la doccia, Sia va in bicicletta. S’incontrano. Il primo appuntamento, la cena insieme, il cinema, una battuta di pesca alle stelle, la ricerca di una casa, la prima notte… Comunicano, agiscono e ricostruiscono la loro “storia” all’imperfetto, tra una citazione della Szymborska e qualche scambio di battute, spesso asimmetrico. Ma Sia porta in sé il senso della morte, che arriva immancabile, nelle sembianze dello Yeti, già destinatario di un appello della poetessa polacca. E Po continuerà la sua vita, ripartendo con una nuova doccia, forse alla ricerca di una nuova Sia.

 

ÉCOUTE POUR VOIR produzione Chiara Frigo – Zebra Cultural Zoo

Un’esperienza artistica che lega un performer ad uno spettatore per lo spazio di una canzone, in cui i due elementi della relazione scenica agiscono e reagiscono: il primo guidando, il secondo ascoltando la canzone in cuffia e rispondendo come può. Finisce la canzone, finisce il giro. Che si può ripetere cambiando il performer e indossando nuove cuffie. Tempo e timidezza non ce l’hanno consentito… Più un esercizio teatrale che uno spettacolo vero e proprio.

 

MAELSTRØM produzione Collettivo Baladam B-side – Teatro Metastasio di Prato

E’ uno spettacolo relazionale che prevede il diretto e reiterato coinvolgimento del pubblico. Uno spettacolo che inizialmente sembra non partire mai e che poi si costruisce per l’assommarsi di sketch numerati alla rinfusa, e che mette in scena il loro stesso realizzarsi: espediente utilizzato con grande padronanza dei meccanismi comici da parte dei due performer, (Giacomo Tamburini e Antonio “Tony” Baladan) che si muovono agilmente tra generi, racconti e situazioni, alternando momenti brillanti, irriverenti e surreali (tra tutti una stralunata intervista allo scrittore Nelson) ad altri finanche drammatici ed epici. Come il potente finale che sfida le regole della composizione drammaturgica, inneggia alla parola, e lascia la sensazione di aver assistito ad uno spettacolo molto intelligente e leggermente inquietante, oltre che assai divertente.

 

A UN METRO DA TE produzione La Baracca – Testoni Ragazzi

In uno spazio vuoto che assume diverse forme e direzioni grazie all’uso di cinque metri pieghevoli, i due performer (Lorenzo Monti ed Erika Salamone) raccontano il loro incontro

servendosi del movimento e del gesto, dando vita a numerosi oggetti che prendono forma piegando i suddetti metri che si trasformano ora in bandiera, ora in cavallo, ora in ombrello, ora in palloncino… Alternanza di musica e silenzi, niente parole, niente voci se non quelle dei piccolissimi spettatori che indovinano le forme o chiedono spiegazioni su qualche immagine dal significato meno immediato. L’atto si chiude con un recap dell’esperienza vissuta dalla performer, ormai uscita dal suo guscio e forse pronta a nuovi incontri e nuove sfide, avendo finalmente abbandonato il suo ruolo di osservatrice alla finestra, da cui ha preso le mosse la sua performance.

 

ARLECCHINO produzione Zaches Teatro – Teatro Metastasio di Prato

In un teatro ormai in disuso e cadente, abitato solo da una Morte melomane e da tre topolini prestati alle professioni teatrali (suggeritore, generico tuttofare e allievo attore), irrompono tre Pulcinella, in attesa di riunirsi al loro Re, Arlecchino.

Il loro sopraggiungere fornisce alla Morte la speranza che il teatro possa ritornare ai suoi antichi splendori, ma questo Arlecchino, come Godot, sembra non giungere mai e ai tre Pulcinella non resta che evocarlo col racconto a più riprese della sua storia, contrappuntato da lazzi tipici della Commedia dell’Arte. Le due linee di azione procedono fisiologicamente parallele (con qualche macchinosità drammaturgica), fino alla potente scena dell’incontro-scontro tra i Pulicinella e la Morte, delusa dalla loro incapacità di ridare vita al teatro. L’Arlecchino pupazzo che ella fornisce loro e che illude le tre maschere è in realtà un fantoccio, (che prende vita in una efficace sequenza di animazione), e tutto sembra essere ormai perduto. Ma alla fine l’Arlecchino vivo, simbolo di un teatro che non muore mai, compare sulla scena e ridona vita al teatro stesso, in un finale catartico e interattivo di grande impatto. Belle immagini, divertenti animazioni e tante citazioni per uno spettacolo simpaticamente metateatrale che indulge su atmosfere gotiche, ed ha così il merito di assecondare una delle istanze più ricorrenti emerse dal gruppo degli studenti che ha partecipato all’incontro di Teatro e altrove (di cui si dirà più avanti): le gettonatissime ambientazioni horror.

 

FRATELLI produzione Teatro La ribalta.

Ha chiuso il festival l’atto unico Fratelli, scritto a quattro mani da Carmelo Samonà, Antonio Viganò, che è anche regista, costumista e scenografo, Remo Rostagno e Michele Fiocchi. La pièce affronta il tema della difficoltà di comunicazione, attraverso la storia della difficile relazione appunto tra due fratelli (Michele Calcari e Paolo Grossi) che vivono nello stesso appuntamento. La storia si sviluppa sui tentativi da parte del fratello “sano” di pianificare dei programmi di comunicazione fatti di giochi, storie e parole, per cercare di entrare in relazione col fratello “malato”. I suoi tentativi vengono tuttavia frustrati dal comportamento spesso oppositivo dell’altro. Almeno fino al momento in cui il punto di vista del fratello “malato” viene assunto dal fratello “sano”, rovesciando quindi l’assunto su cui quest’ultimo aveva basato tutti i suoi tentativi di costruzione della relazione. In una sequenza di grande impatto emotivo, ben sostenuta dagli interpreti, che forse avrebbe meritato di essere il vero finale.

 

 

*Erano in programma anche gli spettacoli PER ATENA! Produzione Compagnia delle scimmie e DORITA COSASENTI produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG che purtroppo non abbiamo potuto vedere per impegni pregressi. Ce ne doliamo e rimandiamo agli altri report degli altri operatori presenti nelle cinque giornate di rappresentazione.

 

 

GLI INCONTRI DI TEATRO E ALTROVE a cura di Federica Iacobelli e Sergio Lo Gatto

Cuore del festival sono stati i due incontri dal titolo “La storia siamo noi” e “Ce la stiamo raccontando”.

Nel primo incontro, premessa del secondo, il confronto tra artisti e operatori ha riguardato il “cosa” raccontare al pubblico delle nuove generazioni, i temi di cui si sente maggiormente l’esigenza nel proporre questa offerta, unitamente ai personaggi che si dovrebbero idealmente caricare l’onere di proporre questi temi.

Questa offerta, fatta di ipotesi e aspirazioni, è stata interpretata e declinata nel suo significato antropologicamente più elevato di “dono”.

Il secondo incontro è stato invece dedicato al “come” raccontare, quindi quali linguaggi, quali estetiche privilegiare. Una riflessione che i curatori dell’incontro hanno voluto proporre per negazione (secondo noi una scelta un po’ maldestra) e che si è articolata quindi sul come NON raccontare, cioè su quali modalità bandire dalla grammatica dei linguaggi del teatro per le nuove generazioni: vittime non sorprendenti “il didattico”,”il tutto comprensibile”, “il linguaggio unico”, “il modo dritto”, “il letterario” (queste ultime tre locuzioni crediamo traducano elegantemente termini aborriti come trama, storia, prosa…)

La riflessione è stata poi impreziosita dalla presenza di diversi studenti di alcune scuole secondarie di primo e secondo grado che hanno brillantemente presentato le loro istanze, stravolgendo e rivoluzionando in maniera inaspettata e sorprendente non solo la scaletta dell’incontro, ma forse anche alcuni assunti di una comunità teatrale che parla evidentemente un’unica stessa lingua. Infatti, molti aspetti del fare teatro, rinnegati in una certa estetica, e cacciati dalla porta, sono poi rientrati dalla finestra e risuonati con buona frequenza nei resoconti e nelle richieste dei ragazzi: intendo proprio quelle parole aborrite come storia, trama, personaggi e realismo, troppo facilmente derubricati ad elementi di un fare datato.

E allora ci permettiamo di chiudere questo report con la nostra idea del “come” vadano offerti i “doni” di quelli che operano nel teatro per le nuove generazioni: semplicemente nel modo che si ritiene più congeniale, ognuno onestamente, coerentemente e necessariamente rispetto la personale poetica, e senza esclusioni a priori, ricordando infine, anche per ridimensionare certi slanci che abbiamo percepito un po’ di maniera, che comunque questi “doni” generalmente tutti poi gradiamo che siano venduti e, auspicabilmente, pagati.