RIFLESSIONI GENERALI SUL TEATRO RAGAZZI

Oggi (non posso citare il giorno) ho assistito ad una rappresentazione (spettatori di scuole primarie) che mi ha particolarmente indignata. Non voglio citare qui dove e chi ha presentato lo spettacolo (questo in nessuna particolare vetrina), faccio solo presente che si tratta di compagnia notevolmente finanziata dal ministero…

Questa mattina, devo dire, il mio vaso è traboccato: parole scorrette, congiuntivi inesistenti, voce urlante, testo stupido… basta, non ce la faccio ad aggiungere tutto il resto, meglio sperare che ci siano ancora spettacoli di qualità. Tutti possiamo sbagliare, è vero, ma perseverare…

Perdonatemi questa mia esplosione di collera, che però vuol essere per tutti una preghiera: non offendiamo la bellezza e l’intelligenza, per favore!

Mi chiedo.

Il teatro è cultura? Certamente, l’abbiamo sempre sostenuto! O, meglio, è l’arte che fa cultura e il Teatro d’arte è il suo apice… fintanto che è tale, però!

Uno sfogo che mi posso permettere alla mia età, dopo aver fatto tanti anni di teatro e aver visto circa 200 spettacoli l’anno per quarant’anni!

Mi spiego meglio. Mi riferisco in particolare al teatro ragazzi, piccoli virgulti che devono crescere, ascoltare, imparare, assorbire, registrare, far proprie le verità e le parole.

E chi è sul palcoscenico ha più che mai il dovere (oltre che di saper recitare… e anche lì…) di saper parlare in modo corretto la nostra meravigliosa lingua! Per gli errori sono sufficienti giornali e tv!

Purtroppo, da un po’ di tempo, vedo (e sento) “improvvisatori” del teatro che con spocchia sentenziano incrociando parole e verbi come in un calderone, per non parlare dei congiuntivi (totali sconosciuti), dei condizionali, della consecutio temporum, ma anche dei banali indicativi e di tutto ciò che comporta una parlata gradevole e senza errori madornali!

Spesso succede anche con spettatori/studenti e mi chiedo “e i professori? Diventano insofferenti come me?” Lo vorrei sperare…

A volte sono gli stessi copioni a contenere errori da matita blu, e spesso sono le libertà che si prendono coloro che sono in scena (non riesco a chiamarli attori) che parlano e straparlano liberamente. Personalmente sono stanca di questo imbarbarimento della lingua. E sentirlo anche in un luogo che considero sacro…

Sono delusa, specialmente quando chi propone certi spettacoli ha notevoli mezzi economici, quindi PRETENDO veri autori teatrali e attori; e per attori intendo quelli che sanno recitare, parlare, pensare, al di là del tema che trattano. Meglio un vero attore che recita l’elenco telefonico che incapaci pur se con testi importanti. Un teatro senza attori che senso ha?

Sì, lo spettacolo di cui sopra ha fatto traboccare il vaso; un vaso, però, già pieno di improvvisatori culturali, nuovi o di lunga presenza sulle scene teatrali, che propinano, con la scusa di toccare temi più o meno importanti, più o meno attuali, rappresentazioni neppure degne di saggi parrocchiali.

Mi piacerebbe farne una lista… nel frattempo mi auguro che qualcosa possa migliorare.

L’onestà culturale non può essere gettata alle ortiche, sacrificata sull’altare della convenienza economica!

Gli operatori teatrali non sono (o, meglio, non dovrebbero essere) venditori di patatine, buonissime per carità, ma che accontentano lo stomaco, non le menti.

Noi produciamo arte, cultura, e tale deve rimanere il nostro credo.

La scrittura teatrale è povera e sono davvero pochi i drammaturghi che sanno essere tali!

Ora, però, voglio aggiungere che, nel mare magnum di spazzatura, ci sono delle isole felici, in cui il rispetto per la bellezza, l’armonia, la scrittura, l’interpretazione, la creatività, la genialità continuano a portare armonia, fascino, incanto, eleganza, seduzione, emozione.

Ecco, vorrei abitare in queste isole e portarvi con me a visitarle. Ci sono, sì, ci sono, ne vedo, ne conosco, e saranno loro a salvare il mondo. Esagero? Forse. Ma è questo il mondo che sogno, nel quale credo e che mi auguro diventi realtà per tutti: un virus contagiosissimo che trasformi quelle isole in arcipelago, in continente, in universo. Un rinascimento che possa fondare l’incanto di una nuova Venezia.

Renata Rebeschini