VITO SIGNORILE, FABBRICANTE DI SOGNI A BARI

D: Io ti ho sempre considerato un fabbricante di sogni. Qual’è il sogno più bello che hai realizzato e quello che non sei ancora riuscito a realizzare a Bari?

R: Il sogno che sono riuscito a realizzare è quello di fare quello che ho sempre desiderato, non sono dovuto andare contro i miei genitori, che mi hanno capito e per questo li ringrazio. Nonostante i viaggi, gli incontri, anche quelli non del tutto positivi, ho festeggiato i 50 anni di attività in questa città e sono stato tra i primi testardi a decidere di non emigrare, nonostante per fare l’attore, dicevano, si dovesse andare nelle città teatrali: Roma, Firenze, Milano, Napoli…. Mi sono attaccato al fatto di avere una casa e ci ho creduto. È stata durissima, ho sempre avuto una sede, ne ho cambiate diverse, che sono sempre andate migliorando, fino all’ultima, un teatro vero, firmato da Luca Ruza, che mi sta dando tantissime soddisfazioni. Il mio teatro ha ospitato tra i più grandi interpreti della scena nazionale e questo può essere il sogno realizzato. Girando ho incontrato diversi amici, molti dei quali sono rimasti e con loro stiamo crescendo insieme, purtroppo neanche tanto lentamente. Aver giocato in casa, con un teatro e averlo reso punto di riferimento per la città di Bari e per l’intera regione, nonostante le difficoltà, le opposizioni, ecco questo credo sia il sogno realizzato

Quello non realizzato è di vedere un teatro italiano a misura di teatranti, quelli veri, quelli con la T maiuscola, a misura di giovani teatranti, di anziani che devono continuare la loro sperimentazione, la loro ricerca, questo ancora, la legge italiana che non esiste per il nostro settore, non ce lo consente. Guardare ai nostri colleghi di altre nazioni quasi con invidia, perché riescono a fare questo lavoro con grande dignità, con grande libertà e con la tranquillità di non avere la preoccupazione delle spese, degli impegni. Ho fatto parte dell’unitagis, all’interno della quale ho conosciuto un pazzo scatenato come me, che è quel genio di Antonello Antonante, con il quale all’epoca inventammo di consegnarci prigionieri politici delle lobbies, che fin da allora esistevano, anche se, a differenza di oggi, erano fatte principalmente da teatranti, mentre oggi i teatri sono gestiti dagli amministratori, degli organizzatori… io resto fermamente convinto che il teatro deve essere fatto da chi vive sul palco. Più che sogno è ambire ad agire in una nazione dove al teatro venga data la giusta importanza e dove davvero la legge sia uguale per tutti. La vera libertà e la vera giustizia non esiste.

Manca la mancanza della scelta meritocratica… la legge viene complicata sperando che errori, abbandoni incomprensioni siano il primo livello di filtro.

D: Abbiamo passato un paio d’anni di completa sospensione causa covid. In quel periodo come hai guardato il mondo del teatro?

R: Ti do la risposta di chi nella prima ondata ha preso il covid, e si ritiene fortunato di averlo passato in casa, senza grossi problemi, sappiamo tutti cosa è stato e cosa ha fatto il covid all’inizio, quando chi entrava in ospedale difficilmente ci usciva. Il virus mi ha portato via un fratello, quindi, durante quel periodo, ho fatto riflessioni di due tipi: una più ottimistica, perché mi sono trovato a macinare sogni, progetti, di spettacoli, di laboratori di diverso genere, ne ho avviato uno online che ha avuto un buon seguito, quindi tutto sommato il tempo siamo riusciti ad ingannarlo, l’altra riflessione riguarda invece la vita che corre, la vacuità di cose poco importanti che vengono fatte. Mi sono reso conto che le colpe di tutto quello che accade ricadono su di noi.

L’amicizia che gi° aveva un peso incredibile, dopo tutto questo assume un ruolo fondamentale. Poi ci siamo trovati a fare i conti con la realtà, i numeri che avevamo non ci sono ancora, il pubblico ha ancora paura e speriamo che passi presto

D: Dalla tua finestra, come vedi il futuro dei giovani? Credi che i giovani siano pronti a intraprendere la strada che hai percorso tu?

R: Con grande amarezza, trovo diversi talenti capaci di tenere il palco, sentire e dare emozioni, però sono troppo abituati ad una strada già solcata: denaro pubblico, pappa pronta, ma sono troppo poco preparati al sacrificio, alla testardaggine di volere a tutti i costi. La qualità attoriale è piuttosto buona, se le leggi si sistemano, ben venga che non debbano sacrificarsi per questo lavoro. A cicli continui il teatro viene dato per morto, anche perché ha un grande nemico, il noto di turno che toglie spazio e tempo e notorietà a chi ha talento.

D: A quale spettacolo sei più legato?

R: Ce ne sono due o tre, e sono quelli che mi hanno sorpreso, quello più importante è lo Strindberg, per il quale sono stato diretto da Giancarlo Magni con la traduzione di Franco Perrelli, è stata una grandissima esperienza attoriale, tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90. Quello che mi ha sorpreso è stata la passione per le tradizioni popolari del nostro sud, iniziata con una ricerca per conto di radio rai fatta giovanissimo, e messa in scena quasi vent’anni dopo, ho fatto questo spettacolo che si chiama Ragù, che ha lasciato un segno importante, e che ha all’attivo 1500 repliche.

Quando ho affrontato spettacoli importanti mi sono sempre fatto dirigere da grandi, da un po’ di tempo ho deciso di farmi dirigere dai giovani, per avere uno sguardo diverso, una ventata di freschezza, e immaginerai quanti rimproveri mi sono portato dietro, e parlo del Bukowski, del Principino.

D: Parliamo del teatro ragazzi, tu ne produci e ne ospiti tanto. Che idea ti sei fatto? Ha una sua specificità o rimane una forma di intrattenimento?

R: Nella mia esperienza ho trovato spettacoli carichi di emozioni, di insegnamenti, e spettacoli privi di senso, un po’ come avviene nel teatro per adulti. Il ruolo del teatro ragazzi è quello di formare un futuro pubblico adulto consapevole.

D: Se tu fossi nominato domani ministro della cultura, qual è la prima cosa che faresti?

R: Cercherei nel più breve tempo possibile, e confrontandomi con le esperienze serie di questa nazione, di fare le leggi di cui parlavo tra i sogni non realizzati, metterei ordine affinché quello dello spettacolo dal vivo possa avere regole, ruoli, tranquillità di chi ci opera. Ma non sono ministro, quindi rimane un sogno nel cassetto, per il quale continuo a pensare, a sognare…

intervista a cura di Maurizio Stammati