PUPI, RITMI E RITI. INCONTRO CON I FRATELLI NAPOLI DI CATANIA

Intervista con Marco, Dario e Davide Napoli, realizzata Mercoledì 9 Febbraio 2022 nella bottega della Famiglia Napoli a Catania. Intervistatore: Steve Cable. Assistenza: Silvia Oteri.

Davide: La Marionettistica dei fratelli Napoli nasce per idea di Don Gaetano Napoli, il nostro bisnonno, nel 1921. Lui era ‘mastru siddunaru’, ebbe la possibilità economica di acquistare un lavoro preesistente di pupi siciliani, era tanto appassionato di questo settore, e non poteva mai immaginare che sarebbe diventato il mestiere di famiglia e che i figli l’avrebbero potuto seguire in questa avventura straordinaria. Quindi da lui ebbe inizio tutto nel lontano 1921 e continuò con i figli Pippo, Rosario e Natale, nostro Nonno, e all’apporto di Nonna Italia Chiesa Napoli, e dei i figli che generarono nonché papà Fiorenzo e i suoi fratelli Rosario, Salvatore e Giuseppe, giungendo sino a noi, la quarta generazione: Davide, Dario, Marco e addirittura ai nostri figli, miei e di Marco: Carlo e Italo, che anche se piccoli prendono parte alle rappresentazioni. Sono molto entusiasti di questo mestiere, di questa passione che stanno alimentando per adesso per gioco e chissà cosa accadrà un giorno.

Steve: C’è un bel libro sulla vita e il lavoro del clown Davis Larible e in questo libro c’è un titolo di un capitolo che mi piace tanto e che vorrei proporre come primo spunto per questo nostro ‘jam session’ fatto di ricordi, associazioni di idee e riflessioni attorno alla vostra vita e il vostro lavoro. Il titolo è: ’Il mestiere si impara a tavola’.

Dario: Da noi si è imparato a tavola, nel senso nel contesto familiare , perché ci siamo ritrovati sempre tutti insieme, a parlare di questo lavoro e poi ci siamo ritrovati a farlo da un giorno all’altro, magari come stanno facendo i bambini adesso ‘ridendo e scherzando’. Il giorno dello spettacolo inizi a fare qualcosa, il secondo giorno fai qualcos’altro, poi man mano ti senti sempre più coinvolto e ti ritrovi ad essere protagonista dello spettacolo.

Davide: La tavola intesa come condivisione… la tavola è un mezzo che serve, appunto, per condividere il cibo, per condividere determinate argomentazioni, ci si siede per scambiare delle parole, delle chiacchiere, per affrontare degli argomenti. La tavola della famiglia è servita a questo, a condividere attimi conviviali , attimi mangerecci unitamente a quello che è stato il nostro mestiere di famiglia perché per come diremmo a Catania, ‘gira vota e furria’, gli argomenti che si affrontano quando ci si siede attorno alla nostra tavola puntano sempre all’elemento principe che è il nostro lavoro, ‘u nostru misteri’, quindi affrontare giornalmente questa grande missione, perché per noi è tale. E’ fondamentale trovare sempre nuovi stimoli che possano rendere -vivo e palpitante- il mestiere mantenendoci legati alla tradizione, ma guardando sempre quel tantino oltre.

Marco: Questo titolo ‘il lavoro a tavola’ mi fa pensare agli anni passati quando, dopo i bellissimi spettacoli dove io amavo esserci anche se ero piccolo, speravo di essere sempre insieme a tutta la famiglia e per me il momento della tavola era ‘il dramma’ della serata o del pranzo perché da piccolo non mangiavo assolutamente nulla. Per me il lavoro a tavola era un attimo dopo la gioia del lavoro, di solito ci si rilassa a tavola, invece mi guardavano tutti… mi sentivo un attimo osservato e andavo li a pulire la pasta dal prezzemolo e queste cose me le ricordo benissimo. Poi la cosa che mi fa pensare è che, visto che questo titolo è partito dal circense, quando mia moglie disse alle sue amiche che si sposava, la risposta delle amiche fu “Ma è un circense?” Perché non si aspettavano una persona normale e in effetti lei rispose “Guarda ci siamo vicini.. Fa il puparo” “Allora è quello giusto!”… e poi anche con lei sono cresciuto anche a tavola perché dal nulla cosmico adesso sono una buona forchetta!

Steve: ‘Quanto pesa la tradizione?’

Davide: La tradizione che abbiamo acquisito grazie alla famiglia, riteniamo che non rappresenti un peso inteso come onere da sostenere, ma da mantenere e da proteggere, tutelare e divulgare. Abbiamo cercato di fare proprio questo peso, il peso dei codici della tradizione, i codici della costruzione dei pupi, il peso della scenografia e tutto quello che riguarda l’artigianato artistico e ogni sua forma d’Arte e il peso della messa in scena che prevede davvero una miriade di conoscenze che abbiamo avuto la fortuna di apprendere sin da bambini. Sono davvero tante, le abbiamo fatte nostre, le abbiamo elaborate, le abbiamo talvolta scardinate rispettando assolutamente quello che ci è stato insegnato. Rifacendomi a quello che abbiamo detto prima, cercando di portare tutto questo oltre una certa soglia per renderlo appetibile, per farlo acquisire e conoscere ai bambini che oggi sono abituati ad avere tutto sotto il loro ditino che scorre in uno schermo e in maniera facile. Non sono più abituati al contatto materiale, fisico, con il giocattolo, inteso come oggetto tangibile di divertimento che può essere una macchinetta, una bambola, un orsacchiotto…. oggi ci si raffronta con il mezzo virtuale e allora il nostro intento, il nostro impegno è stato quello di portare a loro la conoscenza della tradizione, studiando per il loro palato degli elementi comunque moderni che potessero veicolare la tradizione, le giuste password per accedere ad un mondo che apparentemente può sembrare appartenere ad una passato ed invece, vi garantisco, è davvero attualissimo per tutti i codici, i significati e la morale che ha sempre trasmesso. Pregi ed elementi che davvero risultano essere tutt’altro che appartenenti ad una passato.

Dario: Se vogliamo parlare di peso e tradizione, possiamo parlare del peso fisico perché comunque la fatica di andare a fare uno spettacolo con i pupi, prima con i pupi grandi poi con quelli piccoli, il montaggio di tutta la struttura.. anche di questo possiamo parlare! Come peso della tradizione… portarla avanti, proprio lo sforzo fisico, dal montaggio, mettere in scena lo spettacolo, la fatica fisica soprattutto dei ‘Manianti’ fino allo smontaggio perché facciamo tutto noi, vi posso dire che nelle schiene e nei piedi piatti di tutti, perché abbiamo tutti i plantari, posso dire che si sente.

Marco: E’ cosi perché quello che c’è come pre-spettacolo non significa solo avere una data, bisogna preparare tutto il fabbisogno dei pupi, tutti i materiali da ricercare, perché un pupo non è un unico personaggio. Nostro cugino il professore Alessandro Napoli, antropologo, ha questa enorme passione e il suo più grande divertimento è quello di moltiplicare i personaggi, cambiando teste, abiti, scudi, spade, elmi. Smonta la corona di uno e la mette in un altro, c’è una settimana di ricerca e assemblaggio per trovare i protagonisti che servono per lo spettacolo. Ricaricare il furgone con impianto luci, amplificazione, con scene, sipari e quant’altro. Un altro peso è quello che sento dentro quando vedo la quinta generazione andare in scena, questa cosa innata che io mi sono ritrovato dentro ma non me ne sono accorto, ora vedo che già uno dei miei figli che magari di punto in bianco, in estate dice ai compagnetti “Oggi non vengo al mare… devo andare a lavoro con papà..” e i vicini di casa che restano basiti “Ah!…” e fare nottate, tornare alle Due, Tre, Quattro di notte fuori, con annesso montaggio, smontaggio e lui lì nel furgone che dice “Papa, posso dormire un pò?”… sento questo peso della tradizione su di me e già la vedo su di lui, che è una cosa che mi fa riflettere tanto e mi sento responsabile di questo.

Steve: ‘Ritmi e Riti in scena e fuori scena’

Marco: Andare in scena è un vero e proprio rito, nel senso che ognuno di noi fino ad arrivare alla scena ha un compito che quasi mai viene sostituito da un altro anche se come in passato è capitato di andare in scena anche con i punti, o perché vogliamo andare in scena o perché anche se tutti siamo sostituibili in questo mondo crediamo di non esserlo e evitiamo di non essere presenti, rischiando a volte grosso. Dunque ognuno di noi ha questi riti che spesso non cambiano, siccome è un meccanismo che funziona non cambiamo, non abbiamo mai messo modifiche già dal caricare il furgone. Chi va a caricare il furgone, come si carica il furgone, chi se ne occupa, chi deve preparare i pupi, chi cerca teste, scene e pupi. Io so ad esempio che non posso cercare le scene perché se ne occupa Sandro. La parte tecnica so che me ne posso occupare quindi nessuno mette mani.. “Marco, cosa serve per quello?”.. ma io non è che vado a chiedere ad un altro le cose tecniche, le cose che non sanno le chiedono a me, io per certe cose chiedo a Davide, chiedo a Sandro, chiedo a mio padre. I copioni li ha mio padre, le musiche so che ce le ho io, quindi cerchiamo di non cambiare mai questi riti che ognuno di noi rispetta. Stessa cosa quando abbiamo spettacolo, i luoghi di appuntamento dove ci incontriamo, sono quasi sempre gli stessi. Se andiamo verso Messina il rito è che ci raggruppiamo tutti nella sede di Tremestieri Etneo, luogo base dove da Pedara arriva un mezzo che si convoglia con un altro che arriva da Catania. Invece se andiamo verso Palermo i mezzi da Pedara e Tremestieri Etneo scendono verso la sede storica, la casa museo di Catania, e mai succede che passiamo avanti. Ci vediamo a metà strada. Quindi da sempre fin da bambino i punti base sono quelli e ognuno di noi ha i suoi compiti che vanno avanti.

Dario: Il ritmo… il ritmo è sempre frenetico per fare tutte queste cose perché siamo sempre con i tempi contati sia per caricare il furgone sia per gli spettacoli. Quando arrivi là per fare il montaggio come diceva lui, anche il rito di mettere un ferro, cioè chi deve mettere il ferro della struttura deve essere sempre lo stessa persona che monta quella parte. Non lo fa mai un altro perché sa come si mette, è una struttura un po’ complessa, tutta auto portante quindi anche là ognuno di noi veramente sa dove mettere mani. Il ritmo dello spettacolo li diventa più complicato perché il ritmo si deve tenere tra più persone, fra il tecnico luce/audio, fra il parlatore, il maniante, u’ Pruituri, il direttore di scena. Là col ritmo bisogna riuscire a fare convogliare tutte queste cose, in modo da non avere mai tempi morti e fare uno spettacolo comunque di livello. Non possiamo correre, perché il ritmo non si fa correndo però è necessario riuscire a coordinare tutte questi ruoli, muovendo delle figure inanimate e cercando di rendere tutto bello per lo spettatore e non è facile. Fortunatamente finora ci siamo sempre riusciti e speriamo di continuare a farlo, siamo sempre qua a cercare sempre nuove occasioni, nuove possibilità. Papà e Davide sono le colonne portanti della famiglia, quelli che riescono a tirare avanti il carretto, noi ci accodiamo sempre a loro per fare sempre cose più belle.

Davide: Il ritmo di una vita che è quella di una famiglia che quasi per necessità deve andare dietro ai ritmi di un mestiere pazzo, folle. Un mestiere che ci ha consentito di viaggiare in giro per il mondo, di vivere delle esperienze più disparate, di confrontarci con gli ambienti più differenti, di portare il nostro teatro e di coniugarlo con contesti a volte impensabili dai palazzi reali ai quartieri popolari. Confrontarsi con delle persone di ogni ordine e grado, maturando tanta esperienza ma cercando di fare in modo che tutto questo avesse il ritmo giusto per parlare alla gente, che non diventasse comunque una realtà legata ad un passato, con i ritmi di un passato. Teniamo sempre a precisare che quando esistevano i teatri stabili dell’opera dei pupi si andava a soggetto, esisteva un canovaccio – u’ parraturi, a’ parratrici – andavano dietro a quel canovaccio dal quale estrapolavano solo elementi base, scena ad esempio (bosco, corte, altro ambiente), i personaggi presenti in quella scena e quello che avrebbero fatto. Lì andavano a soggetto sera dopo sera per decenni rappresentando un notevole numero di storie entusiasmanti e avvincenti dove U parraturi e la parratrici dovevano imbastire i dialoghi all’ impronta, pura Commedia dell’Arte. Pensiamo a quale capacità dialogica dovevano avere pur non avendo le scuole alte. Eppure abbiamo esempi di grandi parraturi, come fu nostra nonna Italia e come fu il cosiddetto ‘Biagio U’ Tignusu’, che aveva forse la seconda elementare ma se andiamo ad ascoltare determinate registrazioni dove tutti e due imbastivano i dialoghi improvvisati, ad esempio la bellissima scena di amore tra Orlando e Alda la cosiddetta spartenza, dove Orlando innamorato della Principessa Angelica dice addio alla moglie, vi garantisco ancora oggi riascoltandolo fa davvero venire i brividi. Pensare che non stanno leggendo nessun testo, è davvero impensabile!

Dario: Non facevano nemmeno le prove dato che cambiava tutte le sere come una telenovela di adesso, non avevano nemmeno il tempo di fare le prove, quindi andavano in scena, i manianti seguivano i parlatori, e i parlatori seguivano questi fogli che rappresentavano “a sirata” ovvero la puntata di una sera.

Davide: …A’ Sirata , ovvero la ‘serata’, la puntata, il manoscritto dal quale estrapolavano solo gli elementi base. Per l’ epoca ‘Biagio Sgroi’ detto ‘Biagio U’ Tignusu’ (per la sua calvizia) e Nonna Italia raggiunsero il massimo dei ritmi che si potevano tenere grazie alle loro capacità dialogiche, al loro modo di interpretare tutti i personaggi in maniera straordinaria. Cosa differente era quando cambiava u’ parraturi, e da Biagio ‘U’ Tignusu’, si passava a Don Rosario Mannino detto ‘U’ Cunsariotu’ (cuoiaio). Mannino aveva un modo di dare la voce ai pupi, sicuramente diverso, più tenue, più calmo, più riflessivo , aveva meno carattere nel dare la voce ai personaggi… e cosa accadeva? Una diversità di ritmo che dai manianti , coloro che dovevano dare vita attraverso le mani ai pupi, veniva avvertita, abituati alla voce e al ritmo di Biagio, passando al Signor Mannino avevano delle difficoltà. Ad esempio il personaggio di Agricane non aveva la stessa verve che caratterizzava ‘Biagio U’ Tigniusu’ se veniva parlato da Mannino. Questa differenza veniva percepita dai manianti che all’inizio potevano manifestare qualche perplessità e difficoltà. Il ritmo impartito dai parraturi si riflette sulla gestualità, sull’azione dei manianti. Quindi tutto nel mondo dell’opera dei pupi è un incastro, nessun elemento è assestante, è un sistema di ingranaggi perfetti, che si sposano in maniera precisa l’uno con l’altro. Negli ultimi decenni abbiamo lavorato molto sul ritmo delle rappresentazioni, riadattando la drammaturgia dei pupi catanesi per il nuovo pubblico. Abbiamo condensato le serate, abbiamo dato ritmo allo spettacolo, attenzionando i formulari dei dialoghi nella la stesura di testi, cercando di mantenere i caratteri dei rispettivi personaggi, così come ci sono stati tramandati. Oggi nell’arco di 80/ 90 minuti diamo idea ad un pubblico talvolta nuovo di ciò è stata la tradizione dei pupi, di quello che è e di quello che potrà essere.

Marco: Come non parlare delle danze armate e del loro ritmo! E’ quello che ha sempre fatto innamorare grandi e piccini tanto che ci sono bimbi che amano festeggiare il compleanno non perché fanno parte della famiglia ma perché amano e si sono innamorati dei pupi, dei loro ritmi, dei loro rumori, i suoni e di quelle che sono le battaglie. Non è uno sbatti spade e basta ma sono dei codici che ci tramandiamo, dei ritmi ben precisi, cadenzati dallo zoccolo e dal tamburo e dalle voci dei parraturi…

Davide: …ritmi che si rifanno alla danze armate come il “taratatà” e del bastone siciliano come il “liu-bo”. Tutto ha un legame con il passato e con altre forme d’arte…musiche e danze tradizionali…affinchè nulla vada perduto.

Steve: Aggiungo per i lettori di Utopia che dovete immaginare – a proposito di ritmo e musicalità – che Marco Napoli poc’anzi raccontava dei raduni dei fratelli Napoli con una cadenza naturale da parraturi/puparo.. “Eh fu così che i fratelli Napoli scesero dall’hinterland catanese..Ma ci fu fila al casello di San Gregorio..E acussi..”. Io ci scherzo ma amo l’aspetto strettamente musicale, come nei primi anni a Catania quando non capivo una parola pero ridevo agi spettacoli al Gatto Blu (storica compagnia catanese di Cabaret) perché la comicità è matematica, non capivo il senso ma ridevo perché c’è un tempismo matematico. I tempi comici sono architettura e questo elemento sonoro, ritmico di trasporto è universale.

Davide: Questo trasporto avviene come per magia attraverso la nostra maschera, “Peppininu”. Succede anche all’estero dove il pubblico non comprende nessuna parola, perché Peppininu, si sà, è l’unico personaggio ‘ca parra u’ catanisi’, eppure, grazie al particolare timbro di voce, alla cadenza dialettale, alle sue movenze crea un trait d’union tra il pubblico e la vicenda che stiamo raccontando e i suoi personaggi. Peppininu desta il sorriso, verso di lui scatta una straordinaria empatia dal Taiwan all’America, in qualunque luogo siamo stati, avverti che la sua presenza in scena, dall’altra parte sta generando qualcosa di positivo e li ti accorgi che la diversità di lingua, di nazionalità non genera nessuna difficoltà di comprensione…ecco la magia del teatro dei pupi e del teatro di figura.

Steve: So che metà del pubblico taiwanese ha commentato “E’ piccolino.. fa ridere.. sarà Berlusconi!”

Marco: ..Che poi in Taiwan è lo stesso periodo che ha iniziato Berlusconi in politica quindi all’epoca c’era lui!

Steve: Il prossimo spunto: ‘Pupi grandi e pupi piccoli ovvero Quando avevo la stessa altezza dei pupi’

Dario: Noi siamo nati a distanza di 8 anni tutti e 3 e ci siamo ritrovati nel periodo del passaggio dai pupi grandi ai pupi piccoli, da i pupi di un metro e 30/40, ai pupi di 80, 90 cm che sono nati per gioco ma che poi sono diventati il mestiere effettivo perché non avendo più i teatri stabili di una volta il portare sempre in giro i pupi grandi era molto molto complicato. Allora si è cambiata la dimensione e si è passata a questi qua. Animare i pupi grandi, per noi sembrava quasi una cosa impossibile, una fatica insormontabile. Alla fine però anche noi ci siamo arrivati, li abbiamo “maniati” seppur in occasioni sporadiche durante rappresentazioni particolari in cui si desiderava mettere in evidenza questo passaggio epocale. Marco ultimamente ha superato una grande prova, e anche la sua schiena, durante uno spettacolo che abbiamo fatto al teatro stabile di Catania, un’ora e mezza con i pupi grandi , “L’ultimo degli Alagona” di Nino Martoglio. Quelli di m. 1.30 sono stati per noi come persone e lo sono tuttora, hanno sempre un grande impatto, chiunque entri qui dentro dice sempre : “Impossibile che facevano gli spettacoli con questi!…”. Il primo impatto è quello perché se provi ad alzarlo materialmente, fisicamente non ci riesci! Invece in passato per anni e anni l’hanno fatto. lo vediamo con il braccio di nostro zio. Praticamente è impossibile batterlo a braccio di ferro. Il suo braccio sinistro dopo 50 anni di animazione ha sviluppato notevolmente determinati muscoli che nessun esercizio in palestra potrebbe farti ottenere gli stessi risultati. Adesso lavoriamo principalmente con i pupi da 80/90 cm che comunque non sono per nulla leggeri e ti danno ovviamente un altro impatto e si possono fare della cose che comunque con quelli grandi non riesci a compiere. Diventano talvolta magici quando riesci ad entrarvi dentro, a collegare il tuo corpo con loro, a diventare un tutt’uno. Naturalmente devi essere anche portato. Comunque ognuno di noi si ritrova ad avere un mestiere, una parte del lavoro che riesce a fare meglio, e parlando di animazione, se guardi Marco capisci veramente che è un tutt’uno col pupo.

Marco: Intanto ringrazio mio fratello…

Dario: Le cose giuste si devono dire…

Marco: Ritorno al passato perché quando guardavo negli occhi i pupi grandi…. Io ricordo una mostra che fecero dove io non sono riuscito a collaborare perché ero davvero piccolo al centro fieristico Le Ciminiere del viale Africa a Catania. Fu installato un teatro stabile, con boccascena e retro scena completo di appenditori con i pupi grandi.

Dario: Etna mito di Europa… si chiamava la mostra.

Marco: …Lì da bambino vidi questi pupi giganti quindi non più in bottega o peggio ancora nel deposito. Purtroppo a Catania non c’era allora e non c’è neppure adesso nel 2022 un vero e proprio museo dei materiali storici, infatti in questo momento gran parte della collezione è al museo internazionale Pasqualino di Palermo . Ai tempi i nostri pupi grandi erano purtroppo conservati in garage dove papà fece fare queste mega strutture nella pietra lavica con delle assi di metallo per reggere questo grandissimo peso. I pupi mi ricordo da bambino venivano coperti da questi teli e mai più utilizzati perché erano ormai reperti storici, ma la città non ne poteva fruire assolutamente tranne che con il nostro permesso. Questa mostra mi aprì gli occhi e mi fece proprio innamorare di quello che poi avrei voluto fare e che fortunatamente si è realizzato: il sogno di salire sullo “scannapoggio”, su questa tavola di legno, su questa struttura che serve per animare dall’alto i pupi catanesi (perché i pupi si animano dall’alto verso il basso) e quindi io piano piano zitto zitto da bambino amavo salire su questo ponte e mi dicevano “Stai attento che puoi cadere…”, perché era abbastanza alto, “Non toccare assolutamente i pupi perché sono pesantissimi!”. Ma io (non ero monello ma in quel caso lo diventai), piano piano zitto zitto ho iniziato a sollevare il primo pupo, a muovere la spada, a girare una testa, fino a che mi uscì una cisti al polso che mi portai per il resto degli anni a venire, però mi segnò la carriera, poi negli anni piano piano la cisti andò via però il mestiere mi entrò nelle mani lasciando il segno e adesso nel 2022 mi ritengo Maniante erede del capo maniante che è lo zio Giuseppe.

Davide: Ritornando al mestiere dei pupi grandi, diciamo per una questione di età – anche se la differenza non è tanta – ho avuto modo di viverli maggiormente e di scambiare con loro momenti dell’infanzia che davvero mi hanno fatto sognare. Le primissime tournée…in Spagna, in Francia per mesi… nei furgoni a uovo…con i Volkswagen che contenevano pensate 40 pupi grandi che per essere trasportati – non essendo i mezzi di adesso – venivano quasi completamente smontati dalle teste, dagli scudi, dai mantelli, per giungere nella bellissime città francesi e spagnole. E lì in mezzo mi ritrovavo io, più piccolo di loro e li guardavo dal basso verso l’alto perché erano molto più grandi di me. Avevo più o meno 3/4 anni e non avrei mai potuto pensare che un giorno li avrei tenuti in mano, che gli avrei dato vita seppur in occasioni sporadiche e li guardavo innamorato con gli occhi di bambino e li ammiravo all’interno dei furgoni ma li ammiravo ancora di più quando mi regalavano quelle grandi emozioni da spettatore. Dietro le quinte diventavo sempre più piccolo e gli occhi mi si illuminavano quando vedevo le loro armature scintillanti muoversi in scena ed ero li a tifare per il personaggio in quel momento preferito. Da li poi è nato tutto ed è accaduto quello che è accaduto, e che oggi ci porta ad essere seduti a questo tavolo a parlare di quello che è stato, di quello che è e speriamo di quello che continuerà ad essere dando fiducia e speranza anche ai nostri piccoli che sono come noi che siamo stati innamorati e continuiamo ad esserlo della tradizione di famiglia, loro lo fanno con una passione davvero sfegatata, che quasi supera la nostra!

Dario: Più di noi!…

Marco: Lascio immaginare che Italo, il penultimo della tradizione Napoli..( Italo porta il nome della Nonna Italia) al suo ultimo compleanno ha ricevuto dei pupi da Alessandro, uno scudo a misura bambino da Davide, una macchina del fumo e i fondali dagli zii e dai nonni per fare i suoi spettacoli e a Natale ha chiesto a Babbo Natale il radio microfono, per fare il parlatore, i fari Led con annesso telecomando perché da solo si fa le luci, il fumo, insomma riesce a coprire tutti i ruoli della rappresentazione.

Dario: One man show!

Marco: Esatto! Quindi questa è la quinta generazione dei fratelli Napoli, poi quando si uniscono con il cuginetto Carlo vi faccio immaginare quello che riescono a mettere in scena…

Steve: Che dire sennò un Grazie per il vostro tempo e la vostra disponibilità..

Davide: Fa parte del mestiere, giusto? Dobbiamo imparare anche questo, a veicolare quello che umilmente sono le nostre conoscenze perché le abbiamo ereditate, le abbiamo coltivate. Però farle comprendere agli altri è fondamentale e non solo durante gli spettacoli, è importante condividerle anche in questi momenti seduti attorno al tavolo della nostra antica bottega per dare vita ad un articolo, ad una testimonianza scritta che nella sua sintesi possa trasmettere i grandi e preziosi significati di questa antica, ma ancora attualissima, forma d’arte popolare. Quindi grazie a voi!